«Il teatro e gli animali salvano la vita alle persone»
I punti chiave
- La storia si è ispirata a tre eventi di cronaca
- Da piccolo Luc Besson ha avuto un legame forte con un cane di nome Socrate
- Il regista ha lavorato con un gruppo di 80 cani
Luc Besson torna alle origini con un pellicola che ricorda quelle che lo avevano fatto amare dal grande pubblico (Le grand bleu, Nikita e Leon) e regala ai suoi numerosi fan Dogman nelle sale dal 12 ottobre. Il film è incentrato sulla figura di un giustiziere simil jocker, costretto sulla sedia a rotelle da un padre folle e violento. Il film metà thriller metà favola nera, deve la sua bellezza anche all’interpretazione di Caleb Landry Jones, nei panni di Douglas, emarginato paraplegico che vive in simbiosi con un branco di cani, unici esseri viventi con cui si è trovato a vivere, da quando il padre lo ha rinchiuso da ragazzino in una gabbia con loro.
Il Sole 24 Ore ha incontrato Luc Besson dopo la buona accoglienza del film da parte di pubblico e critica a Venezia, dove è passato in concorso senza conquistare quella che sarebbe stata la meritata Coppa Volpi per Landry Jones.
Il film prende ispirazione da fatti di cronaca.
«Ho mescolato tre storie differenti, realmente accadute che hanno a che fare con il rapporto forzato tra un bambino e un gruppo di animali. L’inizio ripercorre una vicenda successa in Francia a un bambino di quattro anni, relegato dalla famiglia a vivere con i maiali, fino al momento della liberazione da parte dei poliziotti. Ci sono state poi due altre vicende, che mi hanno ispirato, di convivenza da parte di un bambino con un gruppo di cani in America e in Romania. Quest’ultima riguardava una bambina di sei anni, che al momento del ritrovamento camminava a quattro zampe ed era in grado solo di abbaiare e ululare. Ho visto un video in cui dopo tre anni la stessa bambina aveva recuperato la posizione eretta e poteva parlare. Le sue reazioni fisiche erano però ancora quelle di un cucciolo di animale: ansimava come facevano i cani. Quando le hanno chiesto: “Cosa desideri più di ogni altra cosa?”, lei ha risposto: “Vedere i miei genitori perché mi risulta che non siano morti”. Mi sono chiesto: come si può sopravvivere a un’esperienza del genere? Pensavo che la mia fosse un’infanzia difficile, ma alla fine mi sono convinto che non lo era poi così tanto. Che cosa si può diventare dopo un’esperienza del genere? Madre Teresa di Calcutta, un terrorista o un killer? Quando guardi il cielo cosa puoi chiedere: perché me? Dove ho sbagliato? Dove devo andare?»
Lei ha consuetudine e vicinanza con gli animali?
Fonte: Il Sole 24 Ore