“Il tempo che ci vuole”, un commovente omaggio di Francesca Comencini al padre Luigi

«Dopo tanti anni passati a fare il suo stesso lavoro cercando di essere diversa da lui, ho voluto raccontare quanto ogni cosa che sono la devo a lui: ho voluto rendere omaggio a mio padre, al suo modo di fare cinema, al suo modo di essere, all’importanza che la sua opera e il suo impegno hanno avuto per il nostro cinema, all’importanza che la sua persona ha avuto per me»: così Francesca Comencini ha voluto presentare alla Mostra del Cinema di Venezia il suo nuovo lungometraggio “Il tempo che ci vuole”, protagonista di questo weekend nelle nostre sale.

Si tratta di un racconto personale e profondamente autobiografico, in cui la regista racconta momenti della sua vita in relazione al rapporto con suo padre Luigi, grande regista di film come “Pane, amore e fantasia” (1953), “Tutti a casa” (1960) e “Lo scopone scientifico” (1972).

Parte della storia è ambientata durante gli anni di piombo, sul set de “Le avventure di Pinocchio”, il grande progetto a cui sta lavorando Luigi Comencini in quei giorni. Lei è una bambina ma lui le parla con serietà, compostezza e rispetto come si fa con un’adulta.

Francesca cresce e diventa ragazza in un periodo storico di cambiamento, ricco di lotte politiche e di rivoluzioni sociali. La sua passione per il cinema la accompagna sempre, ma la magia lascia spazio all’insicurezza.

Dopo aver lavorato per il piccolo schermo, con miniserie come “Luna nera” (2020) e “Django” (2023), Francesca Comencini torna a dirigere un prodotto per il cinema a sette anni da “Amori che non sanno stare al mondo” e firma quello che forse è il film più riuscito e importante di tutta la sua carriera: “Il tempo che ci vuole” è una pellicola tanto sentita quanto toccante, capace di regalare uno dei rapporti padre-figlia più intensi tra tutti quelli visti al cinema negli ultimi anni.

Fonte: Il Sole 24 Ore