
Il tragico destino delle donne afgane in un documentario di straziante bellezza
«Dopo il 15 agosto 2021 nessuna radio libera trasmetteva più. In quel momento ero in Francia e mi sono chiesta cosa fare. Avevo messo tutti i dipendenti sulle liste di evacuazione, ma siccome non sono stati evacuati siamo andati avanti. Abbiamo 18 antenne e riusciamo a coprire 20 province su 34. Avevamo già iniziato a portare la scuola in casa quando c’era stato il Covid, e per via dell’insicurezza crescente – non sono tre anni che i bambini non vanno a scuola, sono cinque! E le lezioni che facciamo noi non sostituiranno mai quelle fatte in classe» afferma Aman. «È molto importante che le università del mondo diano borse di studio alle ragazze afgane perché possano seguire i corsi online, molte non lo potranno comunque fare, ma almeno avranno la speranza di poterlo fare – aggiunge -. Stiamo offrendo anche sostegno psicologico alle donne via radio. Ci chiamano da ogni regione, riceviamo 20 chiamate all’ora. Le donne sono veramente perdute. I talebani usano l’islam per dire loro che non sono nulla».
«Istruirsi non era facile neanche prima. Non è mai stato facile avere un’educazione. C’erano poche scuole, pochi insegnanti, bisognava lottare in famiglia per dimostrare che ce lo meritavano, poi lottare per dimostrare che ci meritavamo il lavoro. Dobbiamo combattere per tutto, niente ci è dato» ha aggiunto Fereshta Abbasi, che lavora per Human rights watch occupandosi proprio del suo Paese di origine. Non un lavoro facile al momente capire cosa sta accadendo a Kabul: chi parla con loro viene torturato o fatto sparire, e anche i familiari sono minacciati.
Noori, nei due anni di riprese prima della caduta di Kabul aveva anche filmato lo straziante ritorno di sua nipote Zahara. Ormai tredicenne, dopo che il padre l’aveva cacciata di casa, era ricomparsa a casa della madre. Non la vedeva da quando aveva due anni, perché questa aveva dovuto lasciarla quando aveva divorziato dal padre, cui sono affidati i figli in questi casi. Senza sapere che stesse arrivando, quando l’ha vista sulla porta, sua madre ha capito subito che quella ragazza era sua figlia.
Zahara viene poi affidata alla nonna: il nuovo marito della madre aveva paura che l’ex marito potesse vendicarsi sui suoi figli, o che creasse loro problemi legali, non avendo loro nessun diritto di ospitarla, e non avendo lei neppure i documenti. Subito Hawa l’aveva fatta studiare, insieme si esercitavano a scrivere. Noori ritrae tutti questi avvenimenti in presa diretta, mentre la tv nella stanza enumera le province che giorno dopo giorno cadono nelle mani del talebani e la preoccupazione crescente della sua famiglia. Quando i talebani sono alle porte, Zahara è in pericolo, si sa che i fondamentalisti nelle città rastrellano le case per trovare bambine che abbiano più di 12 anni e portarle via. Sono perciò costretti a rimandarla dal padre, che sta nelle campagne, dove questo non accade. Le danno un telefono, ma risulta subito spento. In esilio Noori apprende che Zahara è stata costretta dal padre a sposarsi.
Dopo che il fratello di Hawa viene picchiato per avere girato delle immagini, la famiglia decide di partire, e dopo un anno e mezzo in Iran riesce a raggiungere Najiba in Francia. Ma non c’è lieto fine nel film. «Non l’ho voluto, perché non ho nessuna speranza che le cose possano migliorare. L’unica speranza sono le donne dell’Afganistan. Ma il mio è l’unico Paese al mondo dove gli è impedito di potersi istruire!» afferma Noori.
Fonte: Il Sole 24 Ore