Il valore talvolta dimenticato del performance management in azienda

Ci ricorda qualcosa? Beh, in questo quadro che ammetto di avere un po’ drammatizzato, ci ritroviamo la memoria di quanto, ad esempio, ci accadeva a scuola nel momento della famigerata pagella. A dire il vero, l’esasperazione del mio tono è coerente con una realtà nella quale questo processo aziendale è sempre vissuto come particolarmente sensibile e delicato, e quindi da gestire con grande attenzione.

E questo per almeno tre motivi:

1) Il carico di emotività con cui ci si avvicina al momento della valutazione. È comprensibile che le persone, dopo un anno di lavoro dedicato al tentativo di raggiungere brillantemente gli obiettivi condivisi e consapevoli della possibilità di un premio (bonus, promozioni, incentivi, provvigioni, ecc) legato ai risultati effettivamente conseguiti, si approccino al “verdetto” (perché come tale viene vissuto in fin dei conti) con delle aspettative, un certo grado di ansia e con il fortissimo desiderio di sentirsi riconosciuti e adeguatamente ricompensati, desiderio che si mescola al timore che il proprio responsabile possa avere una percezione diversa o distorta.

2) Lo strumento, le regole e i criteri alla base del performance management. Mettere in piedi un meccanismo che riesca in maniera del tutto oggettiva e imparziale a stabilire i meriti effettivi delle persone attribuendo di conseguenza i riconoscimenti in maniera perfettamente calibrata è tecnicamente impossibile. In questo caso lo è anche solo per la natura aleatoria della valutazione delle performance che di per sé non possono essere oggettivamente quantificabili. In altri termini il performance management rappresenta un processo che per definizione e sua stessa natura è un second best, ovvero una soluzione subottimale. Questo aspetto può rappresentare alternativamente un alibi oppure alimentare il disingaggio da parte delle persone (“se loro non sono in grado di valutarmi in modo oggettivo, che senso ha impegnarsi?”).

3) L’efficacia nella restituzione del feedback da parte dei people manager. Ho usato volutamente i termini “pagella” e “verdetto” per rimarcare con forza come l’attenzione del collaboratore si concentri sull’indicatore sintetico; è cruciale però che il capo sappia argomentare, spiegare, far comprendere e quindi di fatto aprire un dialogo e un confronto sulla valutazione. Perché questo confronto sia aperto, schietto e generativo occorre fiducia reciproca, autorevolezza da parte del responsabile, disponibilità al confronto e alla crescita. In altri termini, la restituzione del feedback rappresenta davvero una forma alta di espressione della saggezza manageriale nella gestione del binomio persone-performance.

Fonte: Il Sole 24 Ore