
Il viaggio di Odisseo si fa infinito con vasi e tragedie
Sulle tracce di Omero per svelare le vie invisibili del Mediterraneo lungo le quali navigarono Iliade, Odissea e tutti i racconti legati alla guerra di Troia, fino a diventare best seller dell’antichità. Isabella Nova, docente a contratto all’Università Cattolica di Milano, ha scritto I poemi omerici nella cultura greca. Dalla pittura su vaso alle rappresentazioni teatrali (secoli VII-V a.C.), volume meticolosissimo, fatto di ricerca e confronto, dove le fonti archeologiche si intrecciano con quelle letterarie per trovare il filo della storia. L’autrice è una tessitrice paziente, tiene fra le mani i fili della circolazione e della ricezione dei poemi omerici fra VII e V secolo a.C. Intreccia, arguta, le trame per cercare i riscontri nell’iconografia e nella tragedia. E le ipotesi, le proposte di lavoro viaggiano fra metodo rigoroso e tanta passione.
La prima parte del volume si concentra sull’effettiva circolazione di Iliade e Odissea, rintracciando i primi luoghi in cui sembra che il testo sia stato conosciuto ed esaminando le possibilità di una diffusione scritta del testo e le modalità di una sua coesistenza con la persistente tradizione orale. Ma chi era Omero? Il nome è usato in modo generico, per indicare l’autore di altri poemi, oltre a Iliade e Odissea, o anche con tratti favolosi per designare il maestro dal quale lasciarsi ispirare. Che si fosse in Grecia o in Italia meridionale perché l’attività coloniale degli Eubei, che Nova definisce «divulgatori della cultura omerica», aveva raggiunto il nostro Sud e portato con sé i racconti epici tradizionali, facendoli diventare patrimonio condiviso. Tanto che questa teoria può trovare riscontro «nella cosiddetta “geografia occidentale” dell’Odissea, cioè il processo di identificazione dei luoghi odissiaci con luoghi dell’Italia meridionale, che trova un preciso parallelo nei viaggi degli Eubei nel Mediterraneo». E fra i luoghi identificati con certezza in questo ambito di scambio, c’è Reggio, dove, intorno al 525 a.C., si colloca l’attività di Teagene di Reggio, il più antico interprete di Omero di cui si abbia notizia, e in generale come centro di studi omerici e/o recitazioni rapsodiche.
Nella seconda parte la studiosa propone una rassegna degli episodi del ciclo troiano rappresentati nella ceramica greca, considerando le scene datate tra il VII e il V secolo per evidenziare quali sono gli episodi che maggiormente vengono riproposti dagli artisti. È il caso, ad esempio della narrazione sul Ciclope: c’era in culture diverse l’accecamento di un gigante da parte di un eroe ma l’adattamento nelle avventure di Odysseus non cita l’anello magico con cui, in alcune versioni il Ciclope risolve la situazione. Altra caratteristica omerica è il vino e vengono studiate quattro scene, provenienti da aree geografiche diverse (Eleusi, Argo, Caere), che mostrano l’accecamento di un nemico da parte di un gruppo di assalitori. In particolare, spiega Nova, «la rappresentazione di Aristonothos – è il vaso di Caere – è stata considerata molto vicina al racconto omerico perché il numero degli assalitori è lo stesso (cinque), e perché l’ultimo della fila, con un piede alzato e appoggiato alla parete, è stato interpretato come “citazione” della manovra esatta descritta nel libro nono dell’Odissea». Vi sono poi iconografie tipiche solo di un certo periodo: due scene del VI secolo mostrano i giochi funebri in onore di Patroklos, soggetto che non si trova più nel V e IV secolo. La pittura più antica è su un frammento di dinos attico, firmato da Sophilos, con quattro cavalli aggiogati che arrivano di fronte a un pubblico seduto su una pedana a gradoni.
Sono considerate anche altre scene, come l’incontro di Odisseo con le Sirene, l’ambasceria ad Achille, l’oltraggio al cadavere di Ettore. Per poi valutare il rapporto di alcune tradizioni letterarie con i poemi omerici, riflettendo sul concetto di “autorità di Omero”, e analizzare la presenza di Achille e Odisseo nella tragedia greca. La circolazione della ceramica, la popolarità di certi temi piuttosto di altri in determinati secoli fanno pensare che fra VII e V secolo ci fu un ampliamento dei temi e che ci siano personaggi – Achille, ad esempio – la cui figura viene interpretata anche al di fuori della tradizione omerica nel sentimento di rabbia e dolore con cui Eschilo lo tratteggia.
Isabella Nova tesse storie, confronta iconografie per concludere che Omero era di certo un nume, ma tragediografi e pittori non si sentivano vincolati a seguirlo in modo esclusivo. E le varianti poetiche non diminuiscono neppure quando il testo omerico, con la trascrizione e la diffusione pubblica alle Panatenee, diventa patrimonio ad Atene. I due poemi sono amatissimi e Omero – o chi per lui – lascia sempre praterie per sognare e inventare.
Fonte: Il Sole 24 Ore