Imballaggio farmaci, l’Italia rischia l’isolamento in Europa con le nuove norme sull’anticontraffazione

È in allarme la filiera farmaceutica italiana, perché il decreto legislativo sull’anticontraffazione licenziato dal Consiglio dei ministri lo scorso 30 agosto, se non sarà modificato, comprometterà la competitività delle industrie nazionali e la disponibilità e la continuità di forniture di farmaci nel nostro Paese, a danno anche dei malati. Non usa giri di parole il presidente di Farmindustria, Marcello Cattani, intervenendo in audizione in Commissione Affari sociali della Camera: «Servono regole armonizzate al resto d’Europa e tempi congrui per garantire continuità e competitività della produzione di farmaci, trovando soluzioni che non modifichino le linee produttive e non gravino le aziende di altri oneri», afferma in occasione dell’esame dello schema di decreto legislativo, che rende operative dal 9 febbraio 2025 le norme comunitarie per la tracciatura digitale e la sicurezza degli imballaggi dei medicinali per uso umano. Con un ritardo di sei anni rispetto agli altri Paesi europei, dove già dal 2019 è entrato in vigore il regolamento Ue 2016/161, dopo una prima direttiva del Parlamento europeo che risale addirittura al 2001.

Le richieste della filiera

Dal punto di vista tecnico, sia Farmindustria sia Egualia (che rappresenta le aziende produttrici di farmaci equivalenti e biosimilari) chiedono due cose: «L’introduzione di un periodo di adattamento di almeno 18 mesi a partire dal prossimo 9 febbraio, per avere il tempo di arrivare a regime; e trovare una soluzione per l’antimanomissione delle confezioni che non modifichi le linee produttive (cosa che invece avverrebbe se le aziende dovessero introdurre nuovi impianti per utilizzare adesivi-valori bollati dell’Ipzs, ndr) e non gravi le aziende con oneri ulteriori in una fase già di forti aumenti dei costi della produzione». E Cattani ricorda e fa sue le parole che la premier Giorgia Meloni aveva usato in occasione dell’Assemblea generale di Confindustria: “Non disturbare chi vuole lavorare”.

Gli aspetti critici del decreto in discussione

«Così come scritto questo decreto non è applicabile», sottolinea Giorgio Bruno, presidente Afi, Associazione farmaceutici dell’industria, spiegando in modo semplice le due questioni. Innanzitutto, all’articolo 2 dello schema si prevede che il sigillo di chiusura della confezione (dispositivo antimanomissione) debba essere una carta valori del Poligrafico dello Stato, quando sul mercato sono già disponibili astucci tamper evident secondo gli standard internazionali Iso (punto colla, adesivi, sistemi a incastro in cartone per i due lembi di apertura e chiusura, ndr) che garantiscono l’integrità dell’imballo negli altri Paesi europei. In secondo luogo, il decreto deve ancora essere approvato, poi serviranno i decreti attuativi e di Aifa, e ci sono diversi punti non chiari o non attuabili da risolvere, come la dimenticanza della figura dei depositari (che hanno un ruolo chiave nel mercato italiano di passaggio dalle case farmaceutiche alla distribuzione) e le sanzioni eccessive. Non è verosimile che l’intera filiera, dai produttori ai farmacisti, si possa adeguare per inizio febbraio, anche perché il nuovo sistema identificativo datamatrix, basata su un codice seriale stampato direttamente sull’astuccio (e le cui informazioni sono gestite centralmente da una piattaforma nazionale, in rete con quella europea), non è stato neppure testato, con un pilota, per verificare che funzioni operativamente nei vari passaggi.

I ritardi italiani e il ruolo del Poligrafico dello Stato

L’imperativo per l’Italia (si veda Il Sole-24 Ore del 6 marzo scorso) è eliminare il sistema del bollino adesivo del Poligrafico sulla confezione di medicinali adeguandosi alla serializzazione digitale adottata nel resto d’Europa e introdurre una soluzione “tamper evident” che garantisca che la scatola non possa essere aperta e richiusa inserendo altro al suo interno. I due ministeri per gli Affari europei e della Salute hanno aspettato fino all’ultimo a mettere a punto un decreto che andrebbe approvato in tempi strettissimi per rispettare la scadenza del prossimo 9 febbraio, ma così com’è il testo scontenta tutti. L’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, intervenendo ieri in audizione, ha ribadito che il sistema pionieristico del bollino adottato in Italia più di 20 anni fa ha garantito sinora una quota di farmaci contraffatti inferiore allo 0,1% nel nostro Paese, «mentre l’analisi condotta dall’Ue sull’efficacia dei sistemi di anticontraffazione in questi primi cinque anni di attuazione del regolamento 2016/161 ha evidenziato aspetti critici, come il fatto che il 26% dei farmaci dispensati non viene tracciato e gli strumenti di controllo sono inadeguati».

A rischio la competitività del settore farmaceutico

L’idea di mantenere in Italia un sistema a sé stante (chiusure tamper evident stampate dall’Ipzs) come dispositivo antimanomissione, vorrebbe dire far rientrare dalla finestra il bollino monopolio dello Stato che il regolamento Ue faceva uscire dalla porta in nome della digitalizzazione e dell’omogeneizzazione delle regole. «Questo creerebbe un ulteriore onere a carico delle sole aziende che operano in Italia con fermo macchine e mancata produzione per adeguare le linee produttive – spiega il presidente di Farmindustria – e renderebbe ancora meno attrattivo il nostro Paese per gli operatori internazionali del pharma, con conseguenti problemi di approvvigionamento dei medicinali, minando occupazione e il Pil del nostro Paese e contravvenendo al principio di libera concorrenza dentro l’Ue. Ricordo che la farmaceutica è il secondo settore in Italia per saldo attivo dell’export e garantisce 70mila posti di lavoro diretti».

Fonte: Il Sole 24 Ore