Immigrati, la stima del datore di lavoro vale quanto una rete familiare

“La costituzione di “relazioni sociali”, rilevanti a prescindere dall’esistenza nel territorio di una vita familiare, può essere dimostrata anche dai rapporti fiduciari, che si instaurano nel tempo nell’ambiente lavorativo e con i datori di lavoro”. Un criterio che vale ancora di più se a questo si unisce una condotta specchiata. La Corte di cassazione, con la sentenza 28973, equipara, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, la “stima” dei datori lavoro all’esistenza di rapporti affettivi in Italia. E, partendo da questo principio, accoglie il ricorso di un cittadino senegalese, contro la decisione del Tribunale di Lecce di negargli l’asilo.

L’assenza di una famiglia

Ad avviso dei giudici di primo grado, infatti, il richiedente, pur essendo in Italia da circa 10 anni, benché privo di precedenti penali o carichi pendenti, non aveva potuto dimostrare di aver creato una rete familiare né intessuto delle relazioni sociali. Dalla sua aveva potuto documentare solo un’attività lavorativa pregressa, considerata insufficiente “per assumere come seriamente intrapreso un percorso di integrazione in Italia”. In più, sempre ad avviso del Tribunale, nella zona del Senegal dalla quale proveniva, risultava “non radicalmente compromessa la possibilità di soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili della vita personale”. Mentre in Italia non c’era prova di stabili mezzi di sussistenza. Per la Suprema corte però i giudici di merito avevano sottovalutato due elementi importanti a favore del giovane senegalese: la padronanza della lingua italiana e il rapporto fiduciario instaurato con due precedenti datori di lavoro, disposti ad assumerlo di nuovo. La Cassazione ricorda, infatti, che il diritto alla vita privata, tutelato dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, “ha una sua autonoma rilevanza rispetto alla vita familiare”.

L’articolo 8 della Cedu

Ed elementi sintomatici della lunga permanenza in Italia sono: la padronanza della lingua e l’esistenza di una rete di positive relazioni sociali e fiduciarie anche legate all’ambiente di lavoro. L’articolo 8 della Cedu, infatti, “pur non prevedendo un diritto assoluto, ma bilanciabile su base legale con una serie di altri valori, tutela non soltanto le relazioni familiari, ma anche quelle affettive e sociali e, naturalmente, le relazioni lavorative ed economiche, le quali pure concorrono a comporre la vita privata di una persona, rendendola irripetibile, nella molteplicità dei suoi aspetti, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. Ancora un errore del Tribunale è stato quello di sottolineare l’assenza di stabili mezzi di sussistenza, senza tenere conto che l’esiguità delle retribuzioni non basta per escludere l’esistenza di un diritto, perché si tratta di entrate soggette ad un graduale incremento nel tempo. La verifica degli indici di integrazioni compiuta dai giudici in prima battuta dunque è del tutto fuori fuoco, perché non ha considerato una serie di elementi a favore del ricorrente: dal tempo del soggiorno, all’inesistenza ormai di tutti i legami in patria, dalla conoscenza della lingua, fino ai rapporti fiduciari instaurati nel tempo sul lavoro. Il tutto accompagnato da una condotta specchiata.

Fonte: Il Sole 24 Ore