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Imprese, tasso di default verso il 3,5% a fine anno
La debolezza della domanda internazionale e le forti incertezze di natura geopolitica ed economica (dal perdurare dei conflitti bellici) stanno facendo sentire i propri effetti anche sul profilo creditizio delle imprese italiane che, dopo i fasti del biennio 2021-2022, dimostrano un tasso di rischiosità crescente. Lo conferma l’ultima analisi dell’Osservatorio sulle imprese realizzato da Crif, che fornisce periodicamente una fotografia dei principali indicatori relativi all’andamento del credito di un campione di oltre 2,5 milioni di imprese.
L’aumento della rischiosità
Il tasso di default registrato a metà 2024 era ancora in linea con quello di fine 2023 (pari al 2,3% nella media complessiva, con le ditte individuali al 2,4%, le società di persone al 1,6% e le società di capitali al 2,5%), ma la rischiosità è destinata ad aumentare, come spiega il ceo di Crif Ratings, Luca D’Amico, in linea con il peggioramento del contesto macroeconomico. Per fine 2024 Crif prevede un tasso di default in aumento al 2,9% e nel 2025 il trend dovrebbe accelerare, portando l’indice di rischiosità fino al 3,5% per la fine dell’anno.
«Non siamo in una situazione allarmante, anche perché il confronto con i tassi del 2021 e 2022 è fuorviante – spiega D’Amico -: allora l’indice era insolitamente basso, grazie alle misure di supporto finanziario messe in campo per accelerare la ripresa delle aziende dopo la pandemia. Esaurita quella fase, siamo arrivati al momento in cui le imprese devono ripagare i propri debiti e questo coincide purtroppo con un contesto economico che non aiuta».
Tassi di interesse e finanziamenti erogati
Né aiuta il livello dei tassi di interesse che – sebbene in progressiva riduzione – rimane comunque elevato, anche se da questo fronte può arrivare secondo D’Amico un segnale positivo, testimoniato dall’andamento del credito erogato alle imprese, che nei primi nove mesi del 2024 è rimasto stabile rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente in termini di numero di finanziamenti (+0,9%), ma è invece cresciuto in termini di importi (+2,4%). Crescita ancora più marcata se si guarda alle forme di finanziamento rateali, che hanno registrato un aumento degli importi del 4,6%.
Tuttavia, ache sul fronte dei tassi di interesse non è possibile attendersi un effetto immediato nella reazione delle imprese: «La capacità di sfruttare questo momento di riduzione del costo del denaro non è identica per ogni impresa, ma dipende dalla struttura finanziariadi ciascuna – osserva D’Amico -. Una società che ha le spalle sufficientemente larghe potrà sfruttare questo momento per chiedere finanziamenti e fare investimenti, mentre chi arriva al contesto attuale, pur migliorativo in termini di tassi, con una struttura finanziaria debilitata non riuscirà ad avvantaggiarsi di questa fase». Perciò, nel breve termine, gli effetti del calo dei tassi rimangono ancora marginali a livello di sistema. «Siamo in un momento di transizione», ammette D’Amico, e l’evoluzione di questo scenario dipenderà molto anche da quello che accadrà nel contesto macroeconomico globale, su cui peseranno gli effetti delle politiche di Trump, oltre che gli sviluppi sul fronte geopolitico.
Fonte: Il Sole 24 Ore