Imu, Tari e multe: arrivano le sanatorie degli enti locali

Imu, Tari e multe: arrivano le sanatorie degli enti locali

Pronti per l’ennesima replica della polemica eterna sui “condoni”? Perché ci siamo quasi. Ad animarla sarà il decreto legislativo di riforma della fiscalità locale, una delle ultime tappe attuative della delega fiscale. Perché il testo anticipato sul Sole 24 Ore di venerdì 31 gennaio, fra le tante novità che propone, dà la possibilità a Comuni, Città metropolitane, Province e Regioni di introdurre le «definizioni agevolate» sulle proprie entrate, comprese quelle patrimoniali come le rette scolastiche, le tariffe delle mense o il canone unico, con l’unica eccezione dell’Irap. Facile prevedere una nuova ondata di accuse dall’opposizione sui “condoni locali”, e altrettanto semplice ipotizzare la risposta del Governo sull’esigenza di «cambiare il rapporto tra fisco e contribuente» anche quando le entrate in gioco sono locali.

Sul piano pratico la realtà è forse più prosaica, ma promette di essere anche più interessante per le amministrazioni territoriali e soprattutto per i contribuenti coinvolti. Che cosa potranno fare i Comuni e gli altri enti locali? Potranno, spiega l’articolo 2 della bozza attesa lunedì prossimo al confronto che potrebbe essere decisivo per portare il testo in Conferenza Unificata e in Consiglio dei ministri, «introdurre autonomamente tipologie di definizione agevolata che prevedono l’esclusione o la riduzione degli interessi o anche delle sanzioni, per le ipotesi in cui i contribuenti adempiano ad obblighi tributari precedentemente in tutto o in parte non adempiuti». In pratica, per invogliare i contribuenti solo potenziali a diventare reali, sindaci e presidenti potranno ridurre o azzerare interessi, sanzioni o entrambi. Nel caso di pacchetto pieno, con l’azzeramento di tutti gli oneri accessori, arriverebbero dunque a comportarsi esattamente come i Governi, di tutti i colori politici, che negli ultimi anni hanno introdotto le quattro tornate delle «rottamazioni»; strumento sempre ricco di fortuna politica, tanto che in maggioranza già si discute del quinto round. La differenza, non da poco, rispetto al quadro attuale è data dall’autonomia: perché fin qui per esempio i Comuni hanno potuto rottamare le multe e le altre loro entrate solo agganciandosi ai treni nazionali, quando passavano. Con la riforma potranno farlo in qualsiasi momento, decidendo in autonomia l’entità dello sconto, il periodo di attuazione e il ventaglio delle entrate coinvolte.

Su questi punti la nuova regola darà solo dei parametri di massima. Specificando che gli enti dovranno ovviamente rispettare i «principi generali dell’ordinamento tributario» e tutelare «l’equilibrio dei relativi bilanci», e avere un occhio di riguardo ai «crediti di difficile esigibilità». Proprio qui arriva lo snodo centrale di tutta la questione. Secondo l’ultima rilevazione della Corte dei conti nei bilanci dei soli Comuni sono parcheggiati 19,05 miliardi di «residui attivi», cioè di entrate che erano attese ma non sono arrivate in cassa. Questi crediti sono «per due terzi vetusti», aggiunge la delibera 13/2024 della sezione delle Autonomie, segno che gli strumenti attuali della riscossione non funzionano brillantemente: né quelli più benevoli, come la possibilità di riduzione parziale delle sole sanzioni già prevista dall’articolo 50 della legge 449/1997, né quelli più cattivi, o per dirla in senso tecnico «coattivi».

Ora la riforma punta ad ampliare di molto gli ingredienti a disposizione delle amministrazioni locali per servire un menù allettante per i contribuenti. Sul tavolo potranno finire tutti i tributi, dall’Imu alla Tari, le multe ma anche, appunto, le entrate extratributarie che sono in media le più complicate da incassare. Lo spiegano bene i dati elaborati dall’Ifel poco più di un mese fa per lanciare il «Progetto riscossione» chiamato a irrobustire la macchina degli incassi locali: l’Imu manca l’appuntamento alla cassa per il 7,6% del proprio valore, nella Tari il dato sale al 15,9% e arriva al 28,4% quando si guarda alle multe. Tutte queste percentuali raddoppiano se dalla media nazionale si passa al solo Mezzogiorno. Gli sconti potranno investire poi rette scolastiche e canone unico patrimoniale, l’imposta provinciale di riscossione e il bollo auto (su cui la riforma rinforza l’autonomia delle Regioni): non le addizionali Irpef, che seguono l’imposta “madre”, e non l’Irap, oggetto di una tutela speciale perché dedicata alla sanità. Negli altri casi, precisa il testo, l’offerta si potrà allargare anche ai «casi in cui siano già in corso procedure di accertamento o controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte il medesimo ente». Le sanatorie locali dovranno essere ovviamente temporanee, e disciplinate nelle loro procedure dai regolamenti locali che dovranno dettare anche il calendario per l’adesione. fissando un termine «non inferiore a sessanta giorni dalla data di pubblicazione dell’atto nel proprio sito internet istituzionale».

L’idea poggia sull’obiettivo di far dialogare un interesse duplice: quello dei mancati contribuenti, che avranno l’occasione di regolarizzare la propria situazione pagando un po’ meno, e quella degli enti territoriali, che pulendo i propri bilanci dai residui attivi trasformati in incassi potranno alleggerire il peso del fondo crediti, l’accantonamento obbligatorio che riduce le disponibilità di spesa e si gonfia in proporzione alle mancate riscossioni. La sua mole è in crescita continua, e oggi vale la bellezza di 6,3 miliardi di euro: concentrati per il 47% al Sud dove, in proporzione agli abitanti, vale in media 2,75 volte più che a Nord.

Fonte: Il Sole 24 Ore