In 20 anni persi più di 2 milioni di giovani occupati. Raddoppiati gli over 50
Denatalità e scarsa attenzione ai giovani stanno trasformando il mercato del lavoro. Un processo iniziato lontano dai riflettori, ma che ora sta venendo prepotentemente alla ribalta, come evidenziato qualche giorno fa anche dal presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, secondo il quale tra nuovi nati e uscite già oggi avremmo bisogno di almeno 100mila unità di forza lavoro in più.
Come cambia l’occupazione
Prendiamo la fascia d’età degli occupati tra i 15 e i 34 anni. Cioè i giovani. Nel 2004 erano 7.632.000, nel terzo trimestre 2024 (ultimo aggiornamento fornitoci dall’Istat) sono passati a 5.467.00. In pratica in vent’anni abbiamo perso qualcosa come 2.165.000 under34 occupati. Se prendiamo la fascia centrale dell’occupazione, vale a dire i 35-49enni la fotografia nei vent’anni è più o meno simile: nel 2004 se ne contavano 9.818.000, nel terzo trimestre 2024 sono scesi a 8.814.000. Anche qui, in vent’anni abbiamo perso un milione di occupati 35-49enni. Al contrario, è una sorta di rovescio della medaglia, sono cresciuti esponenzialmente gli occupati tra 50 e i 64 anni d’età: nel 2004 erano 4.511.000, nel terzo trimestre 2024 sono praticamente raddoppiati, arrivando a quota 9.034.000. Insomma stiamo assistendo a una trasformazione della nostra forza lavoro, sempre più anziana, e meno incline all’innovazione, chiamata invece ad accompagnare la grande trasformazione in atto nel mondo del lavoro alle prese con rivoluzioni epocali, dal digitale al green.
Male a livello internazionale
Il campanello d’allarme è soprattutto per i giovani. Qualche settimana fa un focus del Cnel, curato dal consigliere esperto Alessandro Rosina, attingendo dai numeri Eurostat, ha evidenziato come siamo messi piuttosto male nel confronto internazionale. L’Italia è infatti il paese in cui lo squilibrio demografico si riflette maggiormente sugli occupati. Da noi la fascia 25-34enni conta poco più di quattro milioni di unità, un milione in meno rispetto alla fascia 55-64 anni (oltre 5 milioni di occupati). In percentuale si tratta quasi di un 20% in meno degli occupati più giovani rispetto ai più maturi. La Germania si trova con un 10% in meno. La Spagna vede attualmente un equilibrio tra tali due classi. La Francia, al contrario, registra circa il 20% in più della fascia 25-34 rispetto alla fascia 55-64. Nel confronto competitivo nei processi di crescita e sviluppo con gli altri grandi paesi europei ci troviamo quindi, a parità di forza lavoro, con una componente molto più debole degli under 35.
Il ribaltamento tra presenza giovane e matura nella popolazione in età attiva italiana è un processo sottovalutato da governi e politica di tutti i colori, e che ha subito una forte accelerazione negli ultimi vent’anni: si è passati da una fascia 15-34 più abbondante di circa 3 milioni di persone rispetto a quella 50-74 nel 2004, a una situazione oggi completamente ribaltata in cui la fascia più matura presenta oltre 4 milioni di persone in più rispetto a quella più giovane.
Denatalità e mismatch
Il problema parte da “culle” sempre più vuote. Nel 2004 sono nati 562.599 bambini, nel 2023 ci siamo fermati a 379.890. Tutto ciò si sta vedendo, prepotentemente, nella scuola. Ogni anno, a settembre spariscono 100/110mila studenti tra i banchi, e non a caso uno dei nodi più spigolosi degli ultimi ministri di Viale Trastevere è quello di come contenere un organico docenti (oggi intorno alle 850mila unità) extra large rispetto alla popolazione scolastica e un numero di plessi (circa 40mila) che si stanno piano piano svuotando. Nei prossimi 15-20 anni, secondo stime accreditate, ci troveremo di fronte circa 10mila edifici scolastici “disabitati” da riutilizzare. Al crollo dell’occupazione giovanile si affianca in prima battuta un mismatch che ormai ha raggiunto un ingresso su due, e nella stragrande maggioranza dei casi ciò accade proprio perché non si trovano i candidati (fonte Excelsior, Unioncamere).
Fonte: Il Sole 24 Ore