In 60 Paesi al mondo rimane ancora illegale essere gay

Ci sono ancora nazioni al mondo in cui è un reato essere gay. Si tratta di 60 dei 193 Paesi delle Nazioni Unite, che per legge considerano un crimine avere rapporti omosessuali consensuali. E nonostante la tendenza a livello globale sia quella di estendere i diritti Lgbtq+, molti Stati, soprattutto in Africa e Asia, continuano ad applicare punizioni severe che vanno da alcuni anni di prigione all’egrastolo, dalla fustigazione alla pena di morte. Quest’ultima è attualmente prevista in Brunei, Iran, Mauritania, Arabia Saudita, Yemen e in alcune regioni settentrionali della Nigeria. Ed è potenzialmente applicabile – data la poca chiarezza legale – in Afghanistan, Pakistan, Qatar, Somalia e negli Emirati Arabi.

Nel 2024 avere orientamenti sessuali, identità o espressione di genere diversi dalla tradizionale lettura binaria del mondo, uomo-donna, può voler dire quindi non essere liberi di amare. E ci sono casi in cui, nonostante la legge non preveda alcuna pena, questo non sia sufficiente per rendere sicuro il Paese per la comunità Lgbtq+, tanto che, ad esempio, il Dipartimento di Stato americano invita i suoi cittadini a prestare attenzione viaggiando all’estero nel mese e nei luoghi del Pride proprio a causa dell’aumentato rischio di violenze.

Le conquiste

Eppure a livello normativo non mancano nel mondo le conquiste di diritti per le comunità Lgbtq+ anche in questo 2024. L’ultima in ordine di tempo è stata l’approvazione in Thailandia. del riconoscimento dei matrimoni tra coppie dello stesso sesso. La terza legge in questa direzione nel continente dopo Taiwan e Nepal. La scelta di Bangkok segue la spinta verso maggiori tutele che da inizio 2023 ha portato anche Andorra, Estonia, Grecia e Slovenia a riconoscere i matrimoni egualitari, e Bolivia, Lettonia e alcune prefetture giapponesi a legalizzare le unioni civili di coppie omosessuali. Per quanto, poi, globalmente ancora restino poche le implementazioni di norme contro i reati d’odio e la discriminazione, svariati disegni di legge sono in discussione o in attesa di approvazione nei diversi parlamenti. Ad oggi, inoltre, diciassette nazioni permettono ai cittadini di auto-identificare il proprio genere e in almeno diciotto Stati Onu sui documenti di identità è presente l’opzione “non-binario”.

I passi indietro

Ai progressi recenti si contrappongono però un po’ ovunque resistenze e involuzioni. Se infatti, da gennaio 2023 Mauritius, Singapore, Repubblica domenicana e le Isole Cook hanno decriminalizzato i rapporti omosessuali consensuali, in altre aree le regressioni sono chiare. È il caso del Ghana, che negli ultimi anni ha introdotto norme rigide e sanzioni severe. A seguito di una proposta approvata in febbraio, inoltre, nel Paese definirsi gay e formare o finanziare gruppi di supporto Lgbtq+ è illegale e punibile con la prigione. Sulla stessa linea punitiva, l’Uganda dove dall’anno scorso le norme, tra le più restrittive al mondo, prevedono fino all’ergastolo per atti sessuali consensuali e la pena di morte per «omosessualità aggravata». Nemmeno contesti in cui libertà e diritti sono garantiti dalla legge risultano completamente sicuri, né sono privi di spinte di chiusura. Succede, per esempio, a Singapore, dove, nonostante l’abolizione nel 2022 della norma che rendeva illegali i rapporti omosessuali tra uomini, le comunità Lgbtq+ restano discriminate, la loro presenza nei programmi tv è rara e le rappresentazioni sono stereotipate.

Neppure le nazioni occidentali sono esenti da stigma e polarizzazione nella discussione pubblica. In parte dell’Europa, dove si trovano alcune tra le nazioni capifila mondiali nella protezione dei diritti, i temi Lgbtq+ vengono da alcuni usati come elementi divisivi o per mobilitare l’elettorato. Secondo Ilga-Europe (International Lesbian and Gay Association) organizzazione che monitora lo stato delle tutele Lgbtq+, molti non hanno fatto passi avanti o rinnovato il loro impegno attraverso legislazioni specifiche o piani d’azione nazionali. E nel 2024 solo 18 dei 49 Paesi considerati nell’annuale Rainbow Map, raggiungono almeno il 50% sulla scala del rispetto di diritti umani e parità, con Malta a occupare la prima posizione – ininterrottamente dal 2016 – e la Russia, invece, ultima.

Fonte: Il Sole 24 Ore