In Pakistan la voglia di normalità è un torneo di cricket

In Pakistan la voglia di normalità è un torneo di cricket

Dal nostro corrispondente

NEW DELHI – Ci sono voluti quasi 30 anni. Ma finalmente mercoledì il grande cricket internazionale tornerà in Pakistan. Per capire che si tratta di un avvenimento basta tenere a mente due cose. La prima, ovvia, è la passione dei pakistani per il meno controverso dei lasciti coloniali britannici. La seconda è che questo è uno sport in cui al massimo livello competono non più di una dozzina di Paesi, che praticamente ogni anno, a turno, ospitano campionati mondiali organizzati secondo i tre formati dello sport. Per un Paese come il Pakistan, stare 29 anni senza poter organizzare un torneo è tantissimo. Anzi, per quei due terzi della popolazione che non ha ancora compiuto 30 anni è, letteralmente, una vita.

L’attentato del 2009

Il fatto che l’International Cricket Council si sia tenuto alla larga tanto a lungo dal Pakistan non è casuale. Buona parte della colpa è dell’attentato terroristico del 2009 contro il pullman che stava portando la nazionale di cricket dello Sri Lanka al Gaddafi Stadium di Lahore per una partita contro i padroni di casa. Sei giocatori rimasero feriti e da quel momento il Paese divenne un paria a livello internazionale: presente, grazie alla bravura dei suoi giocatori, in tutti i principali tornei, ma considerato troppo inaffidabile per poterne organizzare uno.

Anche per questo, la federazione pakistana ha fatto di tutto per ben figurare, investendo milioni di dollari per ristrutturare gli stadi di Karachi, Rawalpindi e Lahore, riuscendo nell’impresa di rifare completamente gli spalti di quest’ultimo in soli 117 giorni.

I nodi politici

Eppure, gli sforzi non sono stati integralmente ripagati da tutte le sette nazionali che sfideranno i padroni di casa. Le federazioni inglese e sudafricana hanno resistito alle pressioni politiche che avrebbero voluto il boicottaggio del torneo per via della presenza della nazionale afghana, accusata di rappresentare il regime oppressivo dei talebani.

Fonte: Il Sole 24 Ore