Inflazione su e crescita zero, quali rischi per l’economia italiana 2025?

Inflazione su e crescita zero, quali rischi per l’economia italiana 2025?

Il 2025 ha fatto il suo esordio con due dati per nulla rassicuranti sullo stato di salute della nostra economia, e di quella europea più in generale, che combinano la bassa crescita, e dunque la sostanziale stagnazione con un nuovo e probabilmente transitorio rimbalzo dell’inflazione. Nel quarto trimestre del 2024 l’Eurozona ha registrato infatti una crescita zero rispetto al trimestre precedente, quando invece il Pil era aumentato dello 0,4%. L’Ue nel suo complesso ha segnato una crescita dello 0,1%, dopo il +0,4% fatto registrare nel trimestre precedente. In Italia – ha confermato l’Istat – la crescita nel quarto trimestre dello scorso anno è stata pari a zero, replicando lo 0% registrato anche nel terzo trimestre. Ancora più negativi i dati della Germania, dove il Pil è sceso dello 0,2%, e della Francia, che ha fatto segnare -0,1%. Quanto all’inflazione, dopo l’aumento dello 0,1% a dicembre, a gennaio l’indice nazionale dei prezzi al consumo ha segnato un incremento dello 0,6% su base mensile e dell’1,5% rispetto al primo mese del 2024, con il cosiddetto carrello della spesa in aumento dell’1,8% su base annua. Nell’eurozona l’inflazione è salita del 2,5% a gennaio, rispetto al 2,4% di dicembre, secondo quanto emerge dalla stima rapida di Eurostat. Tassi più elevati per i servizi (3,9%, rispetto al 4,0% di dicembre), seguiti da prodotti alimentari, alcolici e tabacco (2,3%, rispetto al 2,6% di dicembre), energia (1,8%, rispetto allo 0,1% di dicembre) e beni industriali non energetici (0,5%, stabile rispetto a dicembre). La stima sull’Italia è di un’inflazione in ripresa all’1,7% dall’1,4% di dicembre.

Perché l’inflazione torna a salire?

Secondo quanto ha reso l’Istat l’andamento di gennaio «riflette prevalentemente l’esaurirsi delle spinte deflazionistiche dei prezzi degli energetici (-0,7% da -2,8% di dicembre), a seguito della marcata accelerazione dei prezzi della componente regolamentata (+27,8% da +12,7%)». Inoltre va registrato il permanere di tensioni sui prezzi degli alimentari lavorati (da +1,7% a 2,0%), i cui effetti si manifestano anche sul cosiddetto “carrello della spesa” (da +1,7% a +1,8%). Scendono i prezzi di alcuni servizi, «tra cui quelli relativi ai trasporti e alle comunicazioni», mentre l’inflazione di fondo rimane stabile a +1,8%. In via preliminare l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca) registra su base mensile una flessione dello 0,7%, per effetto dell’avvio dei saldi invernali di abbigliamento e calzature (non considerati per l’indice Nic), e su base annua una variazione al rialzo dell’1,7%, in accelerazione dall’1,4% di dicembre. E’ presto dunque per sostenere che si sia in presenza di un nuovo picco dell’inflazione, che nell’attuale contesto di bassa crescita farebbe emergere il rischio che si scivoli verso la stagflazione, quella pericolosa miscela che vede interagire stagnazione e alta inflazione. Più probabile che si tratti di un’impennata, probabilmente destinata a esaurirsi nel corso dell’anno. Certo è che, stando alle stime dell’ Unione nazionale consumatori, si potrebbe evidenziare una spesa aggiuntiva annua di 210 euro solo per i beni alimentari per una coppia con due figli, mentre l’impatto totale sarà di 532 euro. Per una coppia con un figlio, la spesa extra sarà di 480 euro, di cui 186 per il cibo.

Come reagirà la Bce?

Se le pressioni inflazionistiche dell’Eurozona si attenueranno nei prossimi mesi, la Banca centrale europea dovrebbe attenersi al suo percorso di riduzione dei tassi di interesse fino all’estate. Lo scorso 30 gennaio, la Bce ha tagliato il tasso di interesse di riferimento di altri 0,25 punti percentuali, portandolo al 2,75%, in un contesto che – lo ha sottolineato la presidente Christine Lagarde – vede il permanere di una situazione di debolezza dell’economia dell’eurozona nel breve termine, anche se permangono e condizioni per una ripresa. Lagarde sottolinea come la manifattura sia in contrazione, i servizi si espandono ma la fiducia dei consumatori si deteriora e la spesa delle famiglie non sale.

Quanto pesa la variabile dazi?

Molto dipenderà dall’ampiezza e della composizione dei dazi che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato di voler imporre anche all’Europa, dopo averli decisi per Messico e Canada e poi sospesi per un mese. Certamente si tratta di un ulteriore elemento di grave incertezza per l’economia europea già in fase di sostanziale bassa crescita. «Se il presidente americano non farà marcia indietro, la ritorsione a misure ingiuste e arbitrarie sarà ferma, anche a costo di mettere a rischio uno dei rapporti commerciali più importanti al mondo, ha fatto sapere la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Certamente, da una nuova guerra commerciale tra le due sponde dell’Oceano non vi saranno vincitori, e non potranno che deteriorarsi i rapporti bilaterali.

La risposta italiana alla bassa crescita

In tale contesto, che vede in primissima linea da un lato le prossime mosse della Bce sul versante dei tassi e dall’altro gli effetti della guerra commerciale con gli Stati Uniti (e le contromosse del gigante cinese) le azioni di politica economica per provare a invertire il trend sono alquanto limitate. Sul versante della crescita, nella prospettiva che il 2024 chiuda nei dintorni dello 0,6-0,7% e che nel 2025 non si vada molto oltre (il governo ha previsto un Pil in aumento dell’1,2% quest’anno), occorre prima di tutto accelerare il programma di attuazione del PNRR, sia sul versante degli investimenti che su quello delle riforme. Quanto all’inflazione, che anch’essa ha un effetto sulla crescita perché comprime ulteriormente i consumi, è chiaro che da questo punto di vista a dettare la linea sarà la Bce e l’Unione europea nel suo complesso nel far fronte all’offensiva commerciale lanciata dagli Stati Uniti.

Fonte: Il Sole 24 Ore