Infrastruttura indispensabile per il futuro del paese

Opportunità o frenesia retrograda? Il dibattito sull’Intelligenza Artificiale (IA) tiene banco in Italia: dalla caffetteria alla cena tra amici, dalle chat di gruppo ai talk show in televisione. Sembrerebbe un segnale positivo, una promessa di progresso e consapevolezza per una tecnologia chiave del futuro. Ma la verità, scomoda e persistente, è che il discorso pubblico si avviluppa in una narrativa dominata dalla paura e dal sospetto, rallentando una vera rivoluzione digitale che potrebbe trasformare il Bel Paese. Una visione spesso inquinata da posizioni di retroguardia che vedono l’IA come una minaccia all’occupazione, alla privacy, alla dignità stessa dell’individuo. Difficile immaginare un terreno più fertile per queste ansie collettive di un Paese come il nostro, che in Europa è agli ultimi posti per competenze digitali e dove la cultura dell’innovazione digitale arranca dietro ai partner europei. C’è una tendenza congenita e nostrana a focalizzarsi sui rischi più che sulle opportunità. Certo, le preoccupazioni sull’IA, sui suoi impatti etici e sociali, meritano attenzione. Se la discussione è però sempre incorniciata in termini di rischio, ci precludiamo qualsiasi tentativo di costruire un futuro in cui l’IA possa realmente contribuire allo sviluppo economico e sociale del nostro Paese. L’Intelligenza Artificiale va vista come una nuova infrastruttura, un elemento che, nel futuro, diventerà indispensabile quanto i Pc, i cellulari e tutto ciò che, nell’ultimo secolo, ha trasformato le nostre vite, le nostre società, le nostre economie. Frenare il suo sviluppo in Italia significa anche costringere il nostro Made in Italy, a un’impasse mortifera. In assenza di una strategia chiara e condivisa, il rischio è che i nostri settori di punta si trovino a rincorrere con strumenti obsoleti una competizione sempre più agguerrita e globale. Accettare l’IA come parte integrante del futuro industriale italiano implica ripensare l’intera catena del valore. Se finora la nostra identità produttiva ha fatto perno sull’eccellenza e sulla qualità materiale, oggi dobbiamo accettare che l’innovazione non passi più solo dalla materia prima o dal prodotto finito. Le tecnologie IA aprono la strada a un secondo ciclo operativo, parallelo a quello tradizionale, ma basato sui dati, in cui il valore deriva non solo dalla produzione fisica, ma dalla capacità di raccogliere, analizzare e sfruttare informazioni per prendere decisioni e generare azioni in tempo reale. Questa transizione impone però un salto culturale ancora troppo lontano dalla mentalità aziendale italiana. Troppo spesso, nel nostro panorama industriale, ci si illude che l’intuizione possa bastare per mantenere la competitività. Eppure, senza una profonda trasformazione digitale, le nostre imprese rischiano di perdere quella stessa eccellenza che fino a oggi le ha rese uniche. La vera sfida è comprendere che il “saper fare” del futuro include anche il saper trattare il dato come risorsa preziosa e strategica, capace di valorizzare il prodotto Made in Italy su scala globale. L’infrastruttura dei dati è la nostra autostrada per il futuro. Così come nel dopoguerra costruimmo l’Autostrada del Sole per collegare fisicamente il Paese e facilitare lo scambio di merci e persone, oggi ci serve un’infrastruttura digitale, un sistema connettivo per i dati. Immaginiamo una “Fondazione Nazionale per l’IA”, un istituto che si occupi di centralizzare, valorizzare e salvaguardare i dati italiani (organizzati per settore di elezione) per permettere al nostro tessuto produttivo di sviluppare algoritmi addestrati sulle nostre specificità. Questo non è un vezzo tecnologico, ma un passo fondamentale per mantenere l’indipendenza e sfruttare l’enorme potenziale della nostra capacità produttiva. Senza questo tipo di infrastruttura al servizio dell’intero Sistema Paese, saremmo costretti a importare sistemi addestrati altrove, progettati su culture e necessità economiche che poco hanno a che vedere con la nostra.

L’Italia ha sempre cercato di mantenere una posizione distintiva e competitiva nel mondo: rinunciare a un’infrastruttura nazionale per l’IA significa rassegnarsi a un futuro di dipendenza tecnologica e culturale. Il nocciolo della questione è superare la paura e abbracciare il cambiamento. La sfida dell’IA è anche una sfida di fiducia e di visione.

Fonte: Il Sole 24 Ore