Inizio d’autunno fra i fari e le spiagge della lussuosa e indomita Nantucket

Nel 1988 Jane Carlin e suo marito Ben Gifford realizzarono un sogno: comprare una villa affacciata sull’oceano a Nantucket. Quando pagarono quel sogno quasi 2 milioni di dollari non potevano immaginare che 35 anni dopo sarebbero stati costretti a venderla per appena 200mila dollari, perché l’oceano, quella bella casa, l’aveva quasi inghiottita. Il riscaldamento globale che attanaglia le coste di quest’isola dalla forma di vela tesa dal vento a 50 km al largo del Massachusetts, non riesce ancora a frenare i desideri di chi ambisce a vivere da residente, anche fosse solo per l’estate, le distese di 272 km quadrati dove la natura incontaminata si fonde con una peculiare attitudine alla chicness. Un anno fa Dave Portnoy, fondatore della digital media company di Boston Barstool Sports, ha investito 42 milioni di dollari, la cifra più alta mai spesa nella storia dello stato, per aggiudicarsi una enorme villa con vista sul porto della città principale.

Eppure Nantucket è un’isola di resistenza, da sempre: prima della colonizzazione europea è stata “terra lontana”, questo il significato del suo nome, per il popolo degli Wampanoag; i primi coloni che la abitarono vi cercavano la libertà dalle opprimenti leggi puritane del continente. I suoi residenti, circa 14mila, compatti nell’associazione “Put Nantucket Neighborhoods First” si sono opposti per l’ennesima volta a una proposta di regolamentazione degli affitti brevi, giudicata troppo generosa anche se prevedeva che si potessero ospitare turisti solo per tre volte nella stagione estiva e con i padroni di casa presenti nella proprietà.

A proteggere l’isola, con le sue case del Seicento, i mulini, i fari, c’è anche la Nantucket Historical Association, gelosa custode di ogni segno di storia, supportata, seppur in modo più metaforico, dalla “Grey Lady”, la nebbia che improvvisamente sale dall’Atlantico e avvolge ogni cosa. Un grigio che si fonde con quello delle scandole di cedro (rosso) che ricoprono le case dell’isola. Sarà stato forse per creare un contrasto cromatico che nel 1960 un commerciante di abbigliamento, Philip C. Murray, inventò i Nantucket Reds: quei pantaloni rosa ispirati alle vele delle navi bretoni sono diventati velocemente la divisa dei veri Nantucketers (il vezzo è indossarne un paio il più sbiadito possibile), fra cui c’era anche John F. Kennedy, che li sfoggiava durante le vacanze nella residenza di famiglia di Hyannis Port, nella vicina penisola di Cape Cod.

Il negozio di Murray, al 62 della Main Street di Nantucket, era in qualche modo destinato a essere un hub di innovazione: lo aveva inaugurato infatti Rowland Hussey Macy, nativo dell’isola, che lo vendette al nonno di Murray per partire verso New York e fondare il department store che dal 1858 porta il suo nome ed è un gigante del retail (oggi in verità un po’ in crisi) da oltre 23 miliardi di dollari. Un altro souvenir dell’isola sono i cestini di vimini, che si producono invece da secoli: sembra che i primi a confezionarli siano stati gli annoiati guardiani delle navi-faro disseminate lungo le coste basse e sabbiose di Nantucket per impedire i naufragi, ma che i più belli e ricercati li abbia prodotti fino a qualche anno fa un artigiano di origini filippine, José Reyes, che aveva una lista di attesa di anni.

In questo inizio d’autunno che chiude lentamente le ricche magioni e accoglie i venti più impetuosi, c’è ancora chi tenta una nuotata nell’Oceano. Il paesaggio è struggente nella riserva naturale di Coskata-Coatue, nella parte più settentrionale dell’isola, che culmina nel faro di Great Point ed è raggiungibile anche a piedi da uno degli hotel più belli e antichi, il grandioso Wauwinet, aperto dal 1875.

Fonte: Il Sole 24 Ore