Intelligenza artificiale, il rischio dell’esclusione
Se oggi è la conoscenza che governa ogni aspetto della nostra società, dal bagaglio scientifico alla tecnologia, la sua distribuzione diseguale rischia di consolidare gerarchie e squilibri storici, anziché abbatterli. Nell’ambizione di uno scenario mondiale – incluso il Sud globale – realmente sinergico, l’accesso al sapere dovrebbe diventare un diritto universale, sganciato da privilegi geografici, economici o di antico retaggio. «Ciò richiede anzitutto una trasformazione delle strutture educative e dei paradigmi tecnologici, così che progresso non sia sinonimo di esclusione, bensì strumento di coesione», commenta Tshilidzi Marwala, informatico sudafricano, rettore dell’Università delle Nazioni Unite (Unu) e sottosegretario generale dell’Onu. «L’equità non riguarda solo l’accesso alla formazione, ma la possibilità di partecipare attivamente alla produzione stessa della conoscenza, valorizzando competenze locali e diversità culturali come motore d’innovazione». L’ambizione è che l’educazione possa trasformarsi da processo unidirezionale a dialogo senza confini, integrando prospettive multiple in una visione comune.
A Bologna l’hub dedicato a Ia e collaborazione globale
Dai princìpi alla concretezza, un esempio tangibile è il nuovo Istituto dell’Unu a Bologna dedicato a IA e collaborazione globale, che dovrebbe aprire le porte nel 2025. In un mondo frammentato e con conflittualità in aumento, luoghi come questo possono diventare hub dove affrontare questioni collettive come il cambiamento climatico, la gestione energetica o le disuguaglianze economiche. «La scelta di Bologna, crocevia di tradizione accademica e dinamismo giovanile, vuol essere un segno di come il contesto locale possa fungere da catalizzatore per un impatto globale», continua Marwala. «Oltre alla ricerca di frontiera, servono persone capaci di gestire sia le tecnicalità sia le implicazioni sociali ed etiche della tecnologia». È un obiettivo condiviso anche da un’altra realtà italiana che Unu supporta: il Centro internazionale di fisica teorica (Ictp) di Trieste, che celebra nel 2024 i 60 anni d’attività. Fondato dal pakistano e premio Nobel per la fisica Abdus Salam in un momento storico di forte spinta alla globalizzazione e alla cooperazione, oggi ospita insieme ricercatori ucraini e russi, israeliani e palestinesi, pakistani e indiani, con un valore che va oltre la produzione scientifica – dal supercalcolo alle tecnologie quantistiche – e diventa soprattutto simbolico, culturale.
«Etica da integrare nel processo»
La democratizzazione del sapere non può prescindere, infatti, da una governance etica, attenta alle implicazioni dell’intelligenza artificiale nella vita quotidiana e alla sua potenzialità di trasformare i sistemi socio-economici in maniera non intrinsecamente neutrale. Parafrasando Marwala, l’assenza di regole adeguate può portare a derive pericolose, dagli usi militari alla perpetuazione di pregiudizi per via algoritmica. «L’etica andrebbe integrata nel processo tecnologico non come un accessorio a posteriori, ma come principio fondante», specifica il rettore. «Bilanciando innovazione e protezione dei diritti fondamentali, dovremmo impedire che l’Ia diventi strumento di oppressione o esclusione, con uno sforzo concertato tra governi nazionali e sovra-nazionali, istituzioni scientifiche e imprese, ognuno con responsabilità specifiche nel definire standard condivisi».
L’Ai rappresenta una visione parziale della realtà
Una delle sfide più complesse è riconoscere le limitazioni intrinseche dell’Ia, spesso fraintese o ignorate. Una tecnologia che è progettata per massimizzare l’efficienza, basandosi sulla distribuzione delle probabilità, fatica a rappresentare la complessità del reale, lasciando ai margini le eccezioni e le diversità. Al di là dei tecnicismi, qui si genera un rischio epistemologico: l’Ia non rappresenta una realtà universale, ma una sua versione parziale e spesso distorta. Ignorare questo aspetto significa perpetuare disuguaglianze e compromettere l’affidabilità delle applicazioni, soprattutto in settori sensibili come la salute, la giustizia e l’educazione. «È necessario andare oltre la logica della media statistica e sviluppare strumenti capaci di abbracciare la complessità, integrando prospettive diverse e valorizzando ciò che sfugge ai modelli», continua Marwala. «Questa necessità di superare i limiti attuali dell’IA porta a ripensare i paradigmi stessi della ricerca scientifica». Allo stesso tempo, solo un metodo rigoroso e tecniche sofisticate possono fare da contraltare a quell’approccio rapido e superficiale che è dominante in molte applicazioni commerciali. Insomma, l’IA dovrebbe evolvere da strumento che fornisce risposte da pappagallo stocastico a un mezzo per esplorare profondamente il mondo, guardando di più alla ricerca di base e non solo alle ricadute immediate.
La democratizzazione del sapere e l’etica tecnologica si intrecciano così in un obiettivo comune: trasformare il potenziale dell’IA in un mezzo d’inclusione, non escludente. In questa prospettiva, la scienza è più di uno strumento per comprendere il mondo, ma una propulsione verso una società più giusta, dove la conoscenza sia il fondamento dell’equità e del progresso. Il sapere, per essere veramente universale, non va semplicemente trasmesso, ma costruito in modo collettivo, riflettendo le molteplici voci dell’umanità.
Fonte: Il Sole 24 Ore