Intelligenza artificiale, moda al test dell’Ai Act: aziende in ritardo. Servono policy e formazione

Intelligenza artificiale, moda al test dell’Ai Act: aziende in ritardo. Servono policy e formazione

Ieri, 2 febbraio, sono entrati in vigore i primi divieti imposti dall’Ai Act, il regolamento europeo che disciplina l’uso dell’intelligenza artificiale e rappresenta la prima forma di legislazione “di peso” sul tema. L’applicazione delle norme ha un orizzonte più ampio – nel complesso ci vorranno 24 mesi – ma i primi divieti in vigore hanno come obiettivo quello di evitare che l’intelligenza artificiale venga utilizzata per attività contraria ai valori fondamentali a quelli dell’Unione europea e con l’obbigo di training. Tra le pratiche vietate rientrano, per esempio, controlli indiscriminati di massa o sistemi che finiscano per influenzare le opinioni politiche e interferire nei processi democratici. Situazioni che sembrano lontane anni luce da potenziali intersezioni con il mondo della moda. Ma non lo sono così tanto: «Le aziende devono prestare attenzione all’uso di sistemi manipolativi,peraltro ancora in corso di definizione, utilizzate nel marketing o nella creazione di campagne pubblicitarie – spiega l’avvocato Gianluca De Cristofaro, partner e responsabile del dipartimento IP, Media, Tech & Data di Lca – oppure, pensando ai controlli di massa, una pratica sulla quale è necessario fare un assessment per capire se possa rientrare tra le pratiche vietate dal 2 febbraio 2025, potrebbe essere quella di esaminare le reazioni del pubblico invitato a una sfilata, sulla base delle immagini riprese con le telecamere. Ad ogni modo credo che l’onere di identificazione e interruzione, che rappresentano uno dei primi obblighi dell’Ai Act ad entrare in vigore, sarà un obbligo con avranno un impatto limitato sul fashion».queste pratiche vietate, che rappresentano uno dei primi obblighi dell’Ai act ad entrare in vigore, sarà un obbligo con un impatto limitato sul fashion».

Aziende del fashion non ancora pronte: è un problema culturale?

Ciò non significa che le aziende della moda non debbano muoversi sul tema della gestione interna della Ia: «Rispetto a quelle di altri settori, come il tech o il pharma le imprese della moda si sono preoccupate “in ritardo” dell’Ia – continua De Cristofaro -. Fino a sei mesi fa non avevano inquadrato né che l’Ai act avrebbe comportato degli adempimenti per la loro industry, né, più in generale, i rischi dell’uso dell’intelligenza artificiale nella loro attività. Dal 2 febbraio l’azienda ha l’obbligo di mappare i sistemi di intelligenza artificiale utilizzati dai dipendenti e di formare il personale che si occupa della gestione aziendale della tecnologia. Non mi risulta che le aziende della moda, anche quelle più strutturate, abbiano già fatto tutto».

Una delle ragioni è di tipo culturale: «A oggi nella maggior parte dei casi le aziende del settore non paiono sfruttare gli output dei sistemi di AI ‘telle quelle’ ma usano l’intelligenza artificiale come “fonte di ispirazione” per realizzaregli sketches o moodboard. C’è poi forse’è un po’ di ritrosia nel dichiarare l’uso dell’Ia nei lavori creativi, forse per l’eventuale impatto tipo reputazionale di questo tipo di dichiarazione. Ciò comporta una mancanza di trasparenza interna – ad esempio, tra l’ufficio stile e l’ufficio legale e compliance – che rischia di esserci anche nei confronti dei consumatori. E il principio di trasparenza sarà sempre più importante in vista del 2026, quando entreranno in vigore la maggior parte degli obblighi previsti dalla normativa europea e quindi bisogna muoversi per tempo».

Ai Act un «punto di svolta» e vantaggio competitivo

Che le aziende del fashion debbano “correre” nell’adeguamento alle regole europee è d’accordo anche Andrea Giardino, equity partner di Gatti Pavesi Bianchi Ludovici: «L’articolo 50 dell’Ai Act, che impone obblighi di trasparenza per gli strumenti di intelligenza artificiale destinati a interagire con le persone, è particolarmente rilevante per il settore moda e lusso – spiega – . Ad esempio, le aziende dovranno assicurarsi che eventuali chatbot Ia presenti sui loro siti web siano chiaramente identificabili come tali. Un’attenzione particolare dovrà essere riservata all’uso di deepfake, come modelli e modelle generati artificialmente, che dovranno essere esplicitamente etichettati per garantire trasparenza nei confronti dei consumatori». Secondo Giardino «l’entrata in vigore dell’Ai Act rappresenta un punto di svolta per il settore moda, imponendo un nuovo equilibrio tra innovazione, trasparenza e regolamentazione. Le aziende dovranno affrontare sfide significative in termini di compliance, etica e competitività globale, ma potranno anche cogliere l’opportunità di differenziarsi attraverso un uso responsabile e sostenibile dell’intelligenza artificiale. Adottare una strategia proattiva sarà fondamentale: le aziende che sapranno integrare l’Ia in modo trasparente, etico e conforme non solo eviteranno rischi legali, ma potranno anche rafforzare la fiducia dei consumatori e migliorare la propria reputazione. L’Ai Act potrebbe diventare un vantaggio competitivo per i brand che si posizioneranno come pionieri nell’uso responsabile della tecnologia, promuovendo innovazioni nel rispetto dei diritti fondamentali e della privacy. Infine, sarà cruciale che il settore moda continui a collaborare con le istituzioni per garantire una regolamentazione equilibrata, che protegga i consumatori senza soffocare l’innovazione. Le aziende che sapranno adattarsi rapidamente al nuovo scenario saranno quelle che guideranno il futuro della moda nell’era dell’intelligenza artificiale».

L’importanza delle policy e il nodo proprietà intellettuale

Le aziende più all’avanguardia nell’implementazione della normativa – ma anche nella volontà di gestire in modo responsabile e consapevole la Ia – sono oggi alle prese con la stesura di «policy»: «Non sono previste dall’Ai Act, ma aiutano a mitigare i rischi di utilizzo dell’intelligenza artificiale, non a vietarla: è uno strumento che va utilizzato, ma va governato», dice De Cristofaro di Lca. Uno dei terreni più scivolosi nel quale si trova e troverà a muoversi il settore moda alle prese con la Ia è la proprietà intellettuale: «Da un lato, in relazione a eventuali creazioni realizzate dalla IA, dovranno tenere a mente che il diritto d’autore tutela solo un’opera realizzata da un essere umano, ma, dall’altro lato, dovranno preoccuparsi della tutela dei propri contenuti immessi in sistemi di Ia “aperti” non potendo avere la certezza che il programma sistema non riutilizzi le immagini prodotte con la Ia per ulteriori rielaborazioni», chiosa De Cristofaro.

Fonte: Il Sole 24 Ore