Interruzione di pubblico servizio, condanna per il disturbatore Paolini
Costringere il cameramen a inquadrare il solo giornalista per escludere il disturbatore dal campo visivo o indurre il reporter a ridare la linea allo studio per evitare che la Tv venga usata per veicolare messaggi personali è reato. La Cassazione, con la sentenza 13434 conferma la condanna a carico di Gabriele Paolini, tristemente noto per i suoi blitz sul piccolo schermo, tanto numerosi da fargli guadagnare un posto nel Guinness dei primati per 20.000 abusive apparizioni in Tv. Al disturbatore seriale era stato contestato anche il reato di molestie, dichiarato prescritto dalla Corte d’Appello. Inammissibile invece il suo ricorso contro la condanna per l’interruzione del pubblico servizio, previsto dall’articolo 340 del Codice penale.
La sola presenza basta per il reato
Un reato che scatta anche con la semplice presenza accanto al cronista che costringe l’operatore a restringere l’inquadratura, vanificando così il significato della diretta. Nel caso esaminato il redattore del Tg aveva ridato due volte la linea allo studio, per evitare che si verificasse quello che la Cassazione considera un fatto notorio. La semplice presenza dell’imputato alle spalle del giornalista faceva, infatti, presagire che Paolini, come aveva fatto in passato in molte altre occasioni, sfruttasse il suo momento di visibilità rubata per «sovrapporre un proprio personale messaggio a quello del giornalista». La scelta di quest’ultimo di interrompere il collegamento è stata dunque ragionevole, per evitare una probabile pesante interferenza. Una seconda interruzione c’era stata quando ripreso il collegamento, Paolini aveva cercato di nuovo di approfittare delle luci della ribalta, toccando il braccio del cronista che teneva il microfono, costringendolo di nuovo a passare la linea allo studio per paura che gli venisse sottratto.
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Il curriculum di Paolini
Senza successo la difesa dell’imputato che cerca di minimizzare, giocandosi la carta di precedenti assoluzioni per fatti analoghi, e appellandosi al bello della diretta che, soprattutto nella pubblica via, può riservare degli imprevisti. Per la difesa le interruzioni «furono volute dal giornalista e dalla regia che ritennero opportuno di troncare la modesta apparizione dell’imputato». Scelte sagge invece ad avviso degli ermellini, suggerite dal curriculum del personaggio Paolini, le cui apparizioni sono l’occasione per mettere in mostra il suo repertorio, che spazia dalle parolacce ai gesti scurrili, dalle ingiurie ai messaggi provocatori. Esibizioni per le quali Paolini era già finito all’attenzione della Suprema corte, senza beneficiare della prescrizione, per molestie messe in atto «attraverso un’azione impertinente, indiscreta, invadente, senz’altro riconducibile nella nozione di petulanza». Nei trascorsi giudiziari dell’imputato anche reati ben più gravi, come la produzione di materiale pedopornografico e la tentata violenza sessuale su minore, la tentata estorsione, la calunnia e la diffamazione. Insomma non proprio un innocuo spigolatore di momenti di gloria come altri abusivi della Tv, spesso tollerati dai “colleghi” giornalisti.
Fonte: Il Sole 24 Ore