Istat: con la svolta dei dazi Usa più “vulnerabili” oltre 23mila imprese italiane (il 16,5% del totale export)

Istat: con la svolta dei dazi Usa più “vulnerabili” oltre 23mila imprese italiane (il 16,5% del totale export)

Un analogo indicatore di vulnerabilità d’impresa nei confronti dell’offerta estera (basato sul rapporto tra input importati e costi intermedi, sul grado di concentrazione merceologica e geografica delle importazioni e sull’acquisto di prodotti foreign dependent) mostra che le imprese vulnerabili all’import, nel 2022, erano ancora meno numerose di quelle vulnerabili all’export: circa 4.600 unità (0,1 per cento del totale), ma avevano dimensioni medie maggiori (oltre quadruple), una produttività del lavoro doppia rispetto alla media del sistema. Impiegavano circa 400 mila addetti e generavano il 5,7 per cento del valore aggiunto e, soprattutto, il 23,8 per cento delle importazioni complessive. L’incidenza più elevata si registrava nella Farmaceutica (il 20 per cento delle importatrici) o in comparti tendenzialmente a monte delle catene del valore, quali Legno (16,4 per cento di importatori vulnerabili), Coke (13,5 per cento), Chimica (9,7 per cento). Nel 2022 le imprese erano vulnerabili soprattutto all’importazione di materie prime e beni intermedi dalla Germania (quasi 900 unità) e in generale verso i mercati UE, mentre nel caso dei paesi extra UE si osserva nei confronti della Cina (circa 800 unità).

Gli orientamenti protezionistici della politica commerciale statunitense dovrebbero colpire soprattutto l’UE

 

Il rapporto Istat rileva che vel 2024 il commercio mondiale in volume ha segnato una decisa accelerazione (+3,4 per cento secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, da +0,8 per cento del 2023). Il contributo più rilevante è stato fornito dall’Asia (inclusa la Cina); l’Europa, nel complesso, ha continuato nel 2024 a fornire un contributo negativo, penalizzata dalla guerra in Ucraina e dalla debolezza dell’economia tedesca. Gli orientamenti protezionistici della politica commerciale statunitense – si ribadisce – dovrebbero colpire soprattutto l’UE, che nel 2023 presentava un grado di apertura commerciale quasi quattro volte superiore a quello degli Stati Uniti, in crescita negli ultimi decenni anche a causa del persistere di barriere non tariffarie agli scambi interni al mercato unico europeo. La moderazione dell’inflazione globale e le previsioni di crescita economica stabile suggeriscono per il 2025 la prosecuzione della tendenza positiva del commercio internazionale. Sul futuro andamento degli scambi pesano tuttavia numerosi rischi al ribasso: gli indicatori relativi alla presenza di attriti commerciali internazionali e alle pressioni sulle catene globali di distribuzione, si mantengono su valori elevati. Inoltre, il ruolo crescente degli scambi di servizi (che strutturalmente attivano meno scambi rispetto ai beni), ha contribuito a una riduzione dell’elasticità del commercio alla crescita mondiale.

 

WTO: dal 2009 aumento delle misure restrittive globali fino a quasi 3mila miliardi di dollari

In base ai più recenti dati del WTO, l’insieme di misure restrittive alle importazioni è progressivamente cresciuto, con poche eccezioni, a partire dal 2009, toccando i 2.942 miliardi di dollari nel 2024, pari all’11,8 per cento delle importazioni mondiali. Tra il 2019 e il 2023 le esportazioni italiane in valore sono significativamente aumentate soprattutto verso degli Stati Uniti (+47,5 per cento) e la Cina (+47,8 per cento); nel 2024 si è invece registrata una flessione (-3,6 e -20,0 per cento; -5,0 per cento verso la Germania). Nel 2024, l’esposizione dell’Italia verso gli Stati Uniti (la quota di questo mercato sull’export italiano superava il 10 per cento) era simile a quella della Germania e superiore a quella di Francia e Spagna, mentre minore risultava l’esposizione verso la Cina (2,4 per cento, contro il 5,8 per cento della Germania).

Fonte: Il Sole 24 Ore