La banca risarcisce per l’Iban sbagliato dall’utente
La banca che esegue il pagamento ad un destinatario diverso a causa di un errore sull’indicazione dell’Iban deve risarcire chi ha disposto il bonifico, a meno che non dimostri di aver adottato tutte le cautele per scongiurare l’errore. O perlomeno si sia adoperata per recuperare il denaro, fornendo i dati anagrafici o societari dell’illegittimo beneficiario. La Corte di cassazione, con la sentenza 17415, ha così respinto il ricorso di un istituto di credito, condannato dai giudici di merito, a versare 40 mila euro alla curatela di una società, al cui titolare, poi fallito, era destinato un bonifico di 40 mila euro come creditore di una compagnia assicuratrice. Per la Suprema corte, in assenza di una responsabilità contrattuale, visto che il titolare non aveva un conto corrente presso l’intermediario, si applicano le regole di diritto comune e non quelle previste dal Dlgs 11/2010 che applica la direttiva 2007/64/Ce sui servizi di pagamento del mercato interno. Per la Suprema scatta, ai fini della responsabilità, la teoria del “contatto sociale qualificato”, nei confronti del beneficiario rimasto insoddisfatto a causa dell’indicazione, rivelatasi inesatta, del proprio Iban.
Un “criterio” in virtù del quale “sulla banca grava un obbligo professionale di protezione nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine dell’operazione. Alternativamente, il legittimo beneficiario che non ha ricevuto il pagamento può agire nei confronti dell’intermediario invocandone la sua responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’articolo 2043 del Codice civile, con tutto ciò che ne consegue in termini di onere della prova e risarcibilità del danno patito”.
Gli ermellini precisano che per gli intermediari è possibile controllare i dati di pagamento forniti dall’utente, da qui la responsabilità se la sua condotta, una volta consapevole dell’errore non è in linea con le regole di diligenza e buona fede.
Gli obblighi dell’intermediario
La Cassazione muovendo dalla premessa che sull’intermediario gravano – a seconda dei due casi di conto presso la banca o meno tanto gli obblighi di condotta previsti dalla normativa speciale quanto quelli contenuti nella normativa generale, giunge ad alcune conclusioni. Per la Corte non è possibile ipotizzare che, tra gli obblighi derivanti dai principi di correttezza e diligenza professionale, ricavabili dalla normativa generale, rientri anche quello di controllare sempre che le informazioni fornite dall’utente siano corrette. “Tanto, invero, non solo inficerebbe di fatto il disposto dell’articolo 24 del Dlgs. n. 11 del 2010, ma costringerebbe – si legge nella sentenza – gli intermediari ad adottare, oltre al sistema di pagamento introdotto con la SEPA, un ulteriore sistema in grado di rilevare l’errore nei dati bancari forniti dall’utente, imponendo loro, quindi, un onere troppo gravoso e contrario agli obiettivi di efficienza e velocità nei pagamenti, perseguiti dalla disciplina comunitaria (e poi eurounitaria)”. Le norme sull’ esecuzione del contratto non impongono poi all’intermediario un determinato comportamento. E, quindi, non intervengono nella sua scelta di adottare un sistema interamente automatizzato eliminando il controllo di congruità, ma entrano in gioco solo in un momento successivo ed eventuale, cioè nella valutazione della sua condotta “qualora egli, in qualunque modo, sia divenuto consapevole di un’incoerenza dei dati fornitigli e, quindi, di un presumibile errore dell’utente”. In altri termini, le norme in tema di diligenza professionale e buona fede gli impongono, non di adottare preventivamente metodi per la rilevazione dell’errore, bensì di evitare che l’errore, una volta scoperto, influisca sulla corretta esecuzione dell’operazione di pagamento. Questo sarebbe possibile interrompendo il procedimento e informando l’utente dell’errore e della procedura da seguire per correggerlo, conformemente a quanto disposto dall’articolo 16 del Dlgs n. 11/2010. Se, al contrario, l’intermediario, pur consapevole dell’errore, porta a termine l’operazione, può essere ritenuto responsabile nei confronti dell’utente per essere venuto meno ai propri doveri di diligenza e buona fede e, di conseguenza, oltre a doversi adoperare per cercare di recuperare la somma trasferita ad un beneficiario diverso da quello legittimato, resta esposto al rischio di dover risarcire l’utente per gli eventuali danni subiti a causa dell’esecuzione dell’operazione secondo un Iban errato. La diligenza, quindi, diventa il criterio per valutare la condotta tenuta dall’intermediario che ha avuto conoscenza dell’incongruità delle informazioni di pagamento.
Il servizio utiliuzzato per il pagamento
La Corte precisa poi che occorre, in primo luogo, tenere conto del fatto che “a, seconda del servizio utilizzato per l’esecuzione del pagamento – ad esempio se bonifico o se addebito diretto su iniziativa del beneficiario – cambia l’intermediario che ha la possibilità di individuare l’errore e sarà, quindi, potenzialmente responsabile nel caso in cui abbia proseguito con l’esecuzione del pagamento nonostante fosse consapevole dell’errore stesso”. Per quanto qui di specifico interesse, allora, nel caso di bonifico, l’eventuale responsabilità ricadrà sull’intermediario del beneficiario (nel caso dell’addebito diretto, invece, sull’intermediario del pagatore), mentre l’altro intermediario fruirà automaticamente dell’esimente prevista dalle norme.
Fonte: Il Sole 24 Ore