La controcultura di un comico

La controcultura di un comico

Dopo il film del 2018 su Garry Shandling ( The zen diaries of Garry Shandling ), Judd Apatow è tornato a dirigere un documentario su un comico, affrontando stavolta uno dei più grandi maestri della stand up statunitense: George Carlin’s American dream (su HBO, non è ancora chiaro se da noi arriverà o meno) è una miniserie di solo due episodi ma ammonta a quattro ore complessive, necessarie per fare giustizia alla complessa figura di Carlin, che ha vissuto più di una vita sia sul palco che dietro le quinte.

Carlin è ormai famoso soprattutto per la sua versione arrabbiata e provocatoria anni ’90, quando negli special HBO aggrediva il capitalismo, la fede e i partiti politici, dicendo cose come: «la religione detiene il record per la più grande cazzata mai raccontata»; oppure «questi conservatori farebbero qualsiasi cosa per un feto, ma una volta che sei nato… cazzi tuoi!» (con il dito alzato). Ma all’inizio della sua carriera andava in tv in giacca e cravatta, ben rasato e con i capelli corti. Una delle parti più interessanti del documentario è proprio il racconto della trasformazione: il momento in cui Carlin, dopo aver iniziato a prendere acidi, decide di abbandonare gli “stupidi” varietà televisivi e di abbracciare la controcultura, rivoluzionando completamente la propria immagine e la propria arte. Iniziò a parlare di qualsiasi cosa nei suoi spettacoli, dalla guerra in Vietnam all’aborto, dalla censura alle scoregge. La sfida alla censura era al centro di questa rivoluzione: nel ’69 fu licenziato da un hotel di Las Vegas per aver detto «shit», e pochi anni dopo pubblicò il famoso Seven dirty words, in cui elencava a ripetizione le sette parole proibite dalla televisione. Diventerà una star, alla fine degli anni ’70 sarà quasi dimenticato, poi tornerà sulla cresta dell’onda, ogni volta diverso e rinnovato.

George Carlin’s American dream è un documentario convenzionale, lineare, anche nei materiali: è fatto di filmati d’epoca, interviste a comici contemporanei (Jerry Seinfeld, Chris Rock, Stephen Colbert, Judy Gold e molti altri), a colleghi dell’epoca e a familiari (il fratello Patrick e la figlia Kelly, ma molto spazio viene dato anche alla moglie Brenda). È una visione interessante e a volte perfino commovente, mette insieme un ritratto stratificato, affettuoso e ammirato senza mai scadere nell’agiografia.

George Carlin’s American dream

Judd Apatow,

Fonte: Il Sole 24 Ore