la Corte dei conti prevede 35 anni per il ritorno dell’investimento”
Sulla rapidità nell’attuazione della misura Pnrr relativa al Superbonus 110% e sui benefici in termine di riduzione dei consumi energetici e delle emissioni di CO2 nulla quaestio: gli obiettivi complessivi dell’intervento, pari a 35,8 milioni di metri quadrati efficientati a fine 2025, sembrano più che a portata di mano. E i soli progetti Pnrr inseriti nel ReGis (60.756 Codici unici di progetto), che valgono 13,73 miliardi, hanno già efficientato 17,58 milioni di metri quadrati, oltre il target intermedio di 17 milioni di metri quadrati previsto a fine 2023.
Ma la Corte dei conti, nella relazione semestrale sull’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, si cimenta in un altro esercizio: un’analisi costi-benefici della più controversa delle agevolazioni che non restituisce risultati altrettanto brillanti. Anzi. Sulla base dei dati parziali dell’Enea, i magistrati contabili stimano infatti un tempo di ritorno dell’investimento Superbonus di ben 35 anni: a meta si andrà solo nel 2057. Poiché molti degli impegni incentivati riguardano materiali e impianti, dalle caldaie alle pompe di calore, che difficilmente hanno una vita utile così lunga, «l’analisi costi-benefici sembrerebbe essere negativa».
Il risultato non cambia considerando l’impatto sulla crescita e il gettito. L’aumento delle costruzioni residenziali tra il 2019 e il 2023 è stato del 73%, contribuendo per 3,4 punti all’incremento del 5,4% del Pil nello stesso periodo, ma è complicato stabilire quanto il Superbonus 110% vi abbia contribuito e dunque stimare il rientro fiscale. Basandosi sui calcoli di Bankitalia, secondo cui circa il 27% degli interventi sarebbe stato comunque effettuato, a fronte di un totale di 112,76 miliardi di investimenti agevolati con un costo lordo complessivo di 123,24 miliardi, gli investimenti addizionali ammonterebbero a 82,3 miliardi, con un aumento di Pil di uguale ammontare (il moltiplicatore fiscale è considerato pari a 1, in linea con quello associato alle costruzioni).
Di conseguenza, con un livello di pressione fiscale al 42%, il rientro in termini di maggiori imposte e contributi è di quasi 34,6 miliardi. Il costo netto della misura scenderebbe quindi a 88,64 miliardi (il 72% del costo lordo), che attualizzato al 2021 diventerebbe di 82,71 miliardi. L’anno di ritorno dell’investimento si abbasserebbe sì a 24 anni, ma parliamo di un lasso sempre troppo ampio rispetto al tempo di vita medio di impianti e materiali.
Quanto basta perché la Corte plauda alla scelta del Governo Meloni di rimodulare drasticamente la misura. E perché suggerisca un ulteriore intervento. La forte eterogeneità, quanto ad anni di ritorno e rapporto costi-benefici, tra i singoli interventi agevolati – cappotto termico, sostituzione degli infissi o degli impianti, installazioni di collettori solari – sembrerebbe giustificare, secondo i magistrati contabili, «uno schema di detrazioni differenziate, che preveda aliquote tanto maggiori quanto più efficiente è l’intervento incentivato». Se si rivolge lo sguardo all’orizzonte del 2030, infatti, il contributo positivo del Superbonus allo scenario di riferimento del consumo di energia del settore residenziale «non appare sufficiente ad assicurare il conseguimento degli obiettivi fissati dal nuovo Piano nazionale energia e clima». Insomma, tanto rumore (e tanti soldi) per un traguardo che già si è spostato in avanti.
Fonte: Il Sole 24 Ore