La direttiva sulla sostenibilità delle filiere diventa legge

La direttiva europea sulla sostenibilità delle filiere diventa legge e apre enormi sfide alle grandi imprese ma anche opportunità di business alle Pmi italiane, che potrebbero soppiantare fornitori esteri o microimprese criminali low cost nella supply chain di grandi committenti.
È stata infatti pubblicata in Gazzetta ufficiale europea, il 5 luglio 2024, la Corporate sustainability due diligence directive, Csddd, chiamata anche Supply chain act o in modo più tecnico direttiva (Ue) 2024/1760 del 13 giugno 2024. Le norme diventano legge dal ventesimo giorno successivo alla data di pubblicazione. Gli Stati membri avranno due anni di tempo per implementare i regolamenti e le procedure amministrative conformemente al testo giuridico Ue.
Dopo la direttiva (Ue) Corporate sustainability reporting directive, Csrd e i principi Esrs, la direttiva Csddd rafforza le norme di rendicontazione di sostenibilità per gli aspetti ambientali, sociali e di governance, specificando gli obblighi di responsabilità e trasparenza delle grandi imprese, con riferimento anche alle filiali e a alla value chain.

Cosa comporta la Csddd per le grandi imprese e le Pmi

La Csddd rende responsabili le imprese in tutti i settori dell’economia per gli impatti negativi reali e potenziali, sull’ambiente e sui diritti umani, che possono derivare dalla propria attività e dalle relazioni commerciali con fornitori e subfornitori. Solo per fare qualche esempio, si pensi come l’ultimo fornitore di una catena del valore di produzione che impiega legno, o cacao, o litio, o cotone, o principi attivi per la farmaceutica ,e così via, potrebbe impattare sull’equilibrio degli ecosistemi, deforestazione degli alberi, inquinamento o abbia negato le parità di retribuzione a tutti i lavoratori, o sfruttato il lavoro minorile.Inevitabilmente, da una parte le grandi società dovranno attivarsi (le imprese italiane più virtuose lo hanno già fatto) per limitare i rischi e mantenere come fornitori solo le imprese, anche di piccole dimensioni, in grado di rispondere alle richieste di informativa sulle questioni rilevanti di sostenibilità ambientali e sociali e fornire adeguate certificazioni. Sotto questo profilo, la Csddd per le Pmi italiane potrebbe rappresentare un’opportunità perché molte multinazionali potrebbero sceglierle al posto di fornitori low cost (esteri o in dumping sociale o ambientale) con profili di rischio più alti. Un tema, anche reputazionale, molto caldo. Basti pensare alle recenti inchieste (con relativi provvedimenti restrittivi) che hanno riguardato tre aziende nel settore della moda: Manufactures Dior, Giorgio Armani operations e Alviero Martini.

La battaglia politica sulla Csddd e l’ambito di applicazione

È bene dire che, il testo della direttiva è il risultato di una lunga battaglia politica che ha visto divisi, in più occasioni, i Paesi europei e le associazioni di categoria preoccupati per le ricadute delle norme sui costi degli approvvigionamenti industriali, sulle imprese stesse e su nuove probabili spinte inflazionistiche. Tutto queste preoccupazioni sono state stemperate nell’ultima versione della direttiva attraverso l’applicazione graduale e proporzionale della Csddd, anche grazie all’intervento del Governo italiano che ha negoziato una soglia dimensionale delle imprese soggette a compliance più alta in cambio del voto favorevole (a sorpresa) nella fase del voto finale in Consiglio.
Ecco le nuove soglie e tempistiche previste: dovranno garantire compliance a partire dal 26 luglio 2027, con riferimento all’ultimo esercizio precedente a tale data, le imprese con più di 5mila dipendenti e un fatturato superiore a 1.500 milioni di euro; a partire dal 26 luglio 2028 le imprese con più di 3mila dipendenti e un fatturato superiore a 900 milioni di euro; a partire dal 26 luglio 2029 tutte le altre imprese che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva (ovvero quelle con oltre mille dipendenti e un fatturato superiore a 450 milioni di euro.

Ambito di applicazione

Rientrano nel perimetro soggettivo di applicazione:
§ le società madri e le imprese dell’Ue con più di mille dipendenti e un fatturato netto globale superiore a 450 milioni, nell’ultimo esercizio per il quale è stato o avrebbe dovuto essere redatto il bilancio d’esercio;
§ i franchising che operano nell’Unione con un fatturato superiore a 80 milioni di euro, di cui almeno 22,5 derivanti da diritti di licenza di euro nell’ultimo esercizio finanziario; le società madri e società extra che generano nell’Ue:
§ quelle con un fatturato netto di oltre 450 milioni nell’esercizio finanziario, indipendentemente dal numero di dipendenti, nell’esercizio precedente l’ultimo esercizio.

Gli obblighi

L’impianto normativo prevede , in sostanza, sette obblighi:
1) l’ integrazione del dovere di diligenza nelle politiche e nei sistemi di gestione del rischio, attraverso la descrizione dell’approccio aziendale: codice di condotta, policy aziendali, descrizione dei processi messi in atto per integrare la due diligence nell’informativa di sostenibilità e misure per verificarne la conformità;
2) l’individuazione e la valutazione degli impatti negativi sui diritti umani e ambientali negativi reali e potenziali, ove necessario, dando priorità agli impatti negativi potenziali e reali, come il lavoro minorile, lo sfruttamento del lavoro, l’inquinamento, la deforestazione e i danni agli ecosistemi. Si tratta di obblighi che implicano l’adozione di misure adeguate per mappare e valutare le attività dell’impresa e le relazioni commerciali, al fine di identificare le aree generali in cui risulta più probabile che si verifichino e siano più gravi gli impatti negativi;
3) stabilire e mantenere strumenti di segnalazione e canali di reclamo con persone o organizzazioni che nutrono legittime preoccupazioni riguardo agli effetti negativi effettivi o potenziali. Al riguardo, le aziende dovrebbero adottare procedure eque, accessibili, prevedibili e trasparenti per la gestione dei reclami e adottare misure per prevenire ritorsioni nei confronti di coloro che presentano reclami;
4) svolgere un coinvolgimento efficace con le parti interessate, reali e potenziali, mediante consultazioni efficaci e trasparenti. Le parti interessate sono i dipendenti dell’azienda, i dipendenti delle controllate, i sindacati e le rappresentanze dei lavoratori, i consumatori, e anche gli altri individui, gruppi, comunità o entità i cui diritti o interessi potrebbero essere influenzati dai prodotti, dai servizi e dalle operazioni dell’impresa, delle sue filiali e dei suoi partner commerciali, compresi i dipendenti dei partner commerciali dell’azienda, dei sindacati e dei lavoratori rappresentanti, istituzioni nazionali per i diritti umani e l’ambiente, organizzazioni della società civile;
5) la prevenzione, arresto o minimizzazione degli impatti negativi, sui diritti umani e sull’ambiente reali e potenziali e l’adozione di misure appropriate. Ad esempio l’impresa dovrà chiedere ad un partner commerciale diretto la garanzia contrattuale del rispetto del codice di condotta aziendale e del piano d’azione di prevenzione; sviluppare e implementare un piano d’azione di prevenzione con tempistiche ragionevoli e chiaramente definite per l’implementazione di misure appropriate e indicatori qualitativi e quantitativi per misurare il miglioramento; effettuare investimenti finanziari e non finanziari necessari per adeguamenti o aggiornamenti, ad esempio degli impianti, della produzione, o di altri processi operativi e infrastrutture; apportare modifiche o i miglioramenti necessari al piano aziendale dell’azienda, alle strategie e alle operazioni complessive, comprese le pratiche di acquisto, progettazione e distribuzione;6) la verifica, monitoraggio e valutazione dell’efficacia delle misure. Le imprese dovranno effettuare valutazioni periodiche delle misure di due diligence con riferimento alle proprie operazioni e alla catena di valore, per valutare l’implementazione e l’efficacia di sistemi per l’identificazione, prevenzione, mitigazione, cessazione e minimizzazione degli impatti negativi. Le valutazioni dovrebbero basarsi su indicatori qualitativi e quantitativi ed informazioni provenienti dalle parti interessate all’impresa;7) rendicontare la politica e le misure di due diligence in conformità alle disposizioni della direttiva (Ue) Csrd, in conformità ai principi Esrs.

Fonte: Il Sole 24 Ore