La Fed verso il terzo rialzo da 75 punti base

La Fed verso il terzo rialzo da 75 punti base

Un nuovo, aggressivo, rialzo dei tassi da 0,75 punti percentuali. È questa la previsione dominante, tra gli analisti, sull’esito della riunione di settembre della Federal reserve. A luglio il presidente Jerome Powell aveva chiaramente parlato di questa possibilità, anche se in quell’occasione i mercati – disorientati anche per i passi indietro della banca centrale Usa nella sua strategia di comunicazione – avevano preferito concentrarsi su esili aperture all’eventualità di una stretta meno intensa.

L’inflazione resta elevata

Al momento non sembra che sia possibile: le attese, anzi, sono radicalmente cambiate e la maggioranza degli analisti immagina che il tasso terminale sia al di sopra del 4% (e qualcuno si spinge oltre il 5%). È vero, l’inflazione – nella misura preferita dalla Federal reserve, l’indice Pce – ha dato segni di flessione: l’indice core, che negli Usa guida l’inflazione complessiva – è al 4,56%, dopo aver toccato un massimo al 5,3% a febbraio, e anche l’indice totale è passato al 6,28% dal 6,64% di marzo.

I rendimenti continuano a salire

La curva dei rendimenti ha segnato nuovi rialzi, sia sulla parte a breve, che riflette e realizza la politica monetaria, sia su quella a media scadenza, che ne costituisce l’orizzonte temporale. Non manca un’inversione che ha portato al 27% le probabilità di una recessione entro agosto 2023. Il cambio effettivo del dollaro, sia a causa della stretta, sia per il consueto flight to safety nelle situazioni di difficoltà, continua a salire ed è ormai a ridosso del massimo di marzo 2020, quando la pandemia iniziava a diffondersi fuori della Cina. Anche gli indicatori strettamente monetari – anche se ormai non molto considerati dai modelli teorici – segnalano l’inizio della flessione: base monetaria, offerta di moneta, si stanno lentamente allontanando dai massimi.

Condizioni finanziarie ancora leggermente accomodanti

La stretta non è ancora arrivata “a valle”: corrono ancora, per fare un solo esempio – non irrilevante – i prezzi delle case. L’indice delle condizioni finanziarie della Fed di Chicago – che riassume più di 100 indicatori rilevanti lungo l’intera catena di trasmissione della politica monetaria – non ha ancora raggiunto quota zero (che segnala la media di lungo periodo e quindi, sia pure in modo approssimato, la “neutralità”), e sembra essersi lentamente allontanato da luglio in poi. Il misunderstanding sui mercati – o, se si preferisce, la minore efficacia della comunicazione della Fed – sembra aver lasciato il segno.

Aspettative di inflazione stabili ma sopra l’obiettivo

Meno chiara, però, è la fretta della Federal reserve. Con una adeguata comunicazione – a cui ha rinunciato – avrebbe forse potuto permettersi, malgrado un certo ritardo nell’affrontare l’inflazione, una stretta più graduale, Con aspettative di inflazione di lungo periodo che oscillano tra il 2,25 e il 2,50%, tassi nominali di mercato al 3-3,25% esprimono tassi reali già da stretta monetaria (anche se con le aspettative a più breve termine sono evidentemente più bassi): il tasso reale Usa di lungo periodo è valutato, da diversi economisti, nello 0,50%. Il timore di recessione, una recessione scatenata dalla politica monetaria, è quindi ragionevole, anche se il mercato del lavoro continua a crescere in modo robusto.

Fonte: Il Sole 24 Ore