La Fed verso una pausa nei tagli dei tassi
Una pausa. Probabilmente fino a marzo. La Federal reserve dovrebbe mantenere invariato il target dei Fed Funds, nella sua riunione di gennaio, in attesa di capire gli effetti complessivi della manovra di taglia che ha portato il costo ufficiale del credito a breve termine dal 5,25-5,50% – livello abbandonato a settembre – fino al 4,25-4,50 per cento.
Solo due tagli nel 2025
I “dots”, i punti con cui vengono riassunti in un grafico le previsioni dei singoli componenti del Comitato di politica monetaria (il Fomc, Federal open market committee), esprimono infatti una mediana del 3,75-4% per fine anno, pari a soli due altri tagli nel corso del 2025. Gli analisti si aspettano ora una riduzione dei tassi a marzo, quando saranno riviste le proiezioni.
Inflazione ancora ostinata
In passato la Fed era stata più ottimista: a settembre pensava che a fine 2025 i tassi avrebbero raggiunto quota 3,25%-3,50%. L’inflazione si è poi rivelata più ostinata del previsto e non sono mancati rialzi. Gli ultimi dati dell’indice Pce, di riferimento, si riferiscono a novembre – i prossimi saranno pubblicati il 31 gennaio – e mostrano un aumento annuo dei prezzi del 2,4%, con un indice core in crescita del 2,8%. Sono dati non molto distanti da quelli di Eurolandia – un’area valutaria ovviamente del tutto diversa – dove i tassi sono decisamente più bassi.
Aspettative in rialzo
Le misure di mercato delle aspettative di inflazione sono però in rialzo da settembre. Il break even a cinque anni, in particolare, è passato da un minimo dell’1,86% – sufficientemente al di sotto dell’obiettivo del 2% – fino al 2,5% e più. Per le altre misure il rialzo è stato meno pronunciato – per gli swaps, anzi, c’è stata una tormentata flessione – ma si tratta, con tutti i loro limiti e le attuali ambiguità, di dati ben più importanti, per la politica monetaria, dell’inflazione passata. Da tenere quindi in attenta considerazione. La mappa sull’inflazione elaborata dalla Federal reserve di Atlanta mostra inoltre tutti gli indicatori al di sopra dell’obiettivo, e di almeno 50 punti base. Le pressioni sull’inflazione non desistono.
Retribuzioni ancora surriscaldate
I salari orari, del resto, continuano ad aumentare rapidamente, e sembrano oscillare intorno al 4% da più di un anno. Non è un male dopo la perdita di potere d’acquisto dei mesi scorsi – che ha inciso sul risultato elettorale – ma si tratta comunque di una velocità insostenibile nel medio periodo, che può creare pressioni sui prezzi. È possibile che la Fed voglia anche capire l’andamento delle spese pubbliche, molto aumentate durante l’ultimo anno della presidenza Trump e la presidenza Biden (inutilmente, sul piano elettorale, per entrambi i candidati).
Fonte: Il Sole 24 Ore