La fine dell’Onu? – Il Sole 24 ORE

La fine dell’Onu? – Il Sole 24 ORE

«”La fine dell’Onu?”: il titolo di questa conferenza, quando mi hanno proposto di parteciparvi, mi è sembrato un po’ forte, ora invece penso che a questo ritmo, alla fine di quest’anno, l’Onu potrebbe non esserci più». Le parole di Heba Aly, ex giornalista egiziana e canadese, ora coordinatrice della «Un Charter Reform Coalition» – uno dei gruppi che riuniscono società civile, stati membri e settore privato lanciati durante le conferenza Onu sulla società civile del 2024 a Nairobi – sono state accolte con un mormorio dalla platea ginevrina del Fifdh, il Festival internazionale e forum dei diritti umani, che si tiene ogni anno in concomitanza con il Consiglio dei diritti umani.

La conferenza era stata pensata mesi fa per presentare il documentario The Veto, di Tim Slade (Usa, 2025), che a 80 anni dalla fondazione dell’Onu si interroga sulla necessità di una riforma del diritto di veto (attribuito a Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti). Un diritto che sempre più paralizza l’istituzione nella più importante delle sue funzioni: il mantenimento della pace. Ma gli avvenimenti delle ultime settimane, con l’inedito avvicinarsi degli Stati Uniti alla Russia hanno reso il tema di questo film appena completato ancora più scottante, e sempre più precaria la sopravvivenza dell’Onu, già fragilizzato da un progressivo taglio dei finanziamenti che aveva portato l’amministrazione del palazzo ginevrino a concentrare tutti i dipendenti in un solo edificio per non dover riscaldare l’altro e spegnere le scale mobili già da diversi mesi, molto prima che il nuovo presidente statunitense Donald Trump cancellasse i fondi Usaid, da cui dipendevano molti programmi Onu che non sono finanziati con il budget regolare.

Quando, 80 anni fa, alla fine del conflitto mondiale, riconosciuta l’incapacità della Società delle Nazioni di prevenirlo, è stato deciso di fondare al suo posto l’Onu, dare il diritto di veto ai vincitori della guerra è stato l’unico modo per far nascere l’Organizzazione. «Allora delle Nazioni Unite facevano parte meno di 60 Paesi, oggi sono 193, ma le regole sono rimaste le stesse!» ha affermato Yvette Stevens, ex ambasciatrice della Sierra Leone all’Onu di Ginevra, durante la discussione che ha seguito l’anteprima mondiale del film, sottolineando come in seguito alla decolonizzazione i Paesi siano più che triplicati, senza che si ripensasse la struttura del consiglio di sicurezza. Secondo Stevens la riforma è assolutamente necessaria e urgente. «Non possiamo aspettare la terza guerra mondiale!» ha detto, facendo notare come la Società delle Nazioni fosse nata dopo la prima guerra mondiale, e l’Onu dopo la seconda.

The veto mostra come, sin dalla nascita dell’Onu, il veto sia stato usato per proteggere gli interessi nazionali, con un ampio utilizzo durante la guerra fredda, un incremento dell’uso statunitense di questo a partire dal ’72, soprattutto in difesa di Israele, un interruzione dell’uso, fino ad oggi, invece da parte di Francia e Regno Unito a partire dal 1989, quando inizia quello che definiscono il «decennio del possibile», tra la caduta del Muro di Berlino e l’11 settembre 2001, il periodo in cui il Consiglio di sicurezza ha lavorato meglio. Dopodiché, con l’inizio del nuovo millennio, la situazione si è nuovo complicata, arrivando ai livelli di paralisi mai vista dei giorni nostri, in cui il veto è stato usato massicciamente e in aperta violazione del diritto internazionale, per esempio per impedire la ricerca di armi chimiche in Siria, paralizzando il Consiglio di sicurezza, che non è stato capace di prevenire l’uccisione di moltissime persone.

«È un processo iniziato qualche decennio fa, che ha portato a una costante violazione dello statuto della Nazioni Unite, da parte delle persone che ne dovrebbero essere i guardiani» ha affermato Antonio Patriota, ora ambasciatore brasiliano nel Regno Unito, ma per oltre dieci anni ambasciatore all’Onu di Ginevra, dove ha presieduto la Commissione per il consolidamento della pace. «Siamo di fronte a due grandissimi punti di svolta: la crisi climatica e una crisi sistemica, che ci sta portando in una situazione paragonabile a quella precedente alla Pace di Westfalia, ma in cui abbiamo le armi nucleari. Le Nazioni devono comportarsi responsabilmente!».

Fonte: Il Sole 24 Ore