La fuga dei pazienti al Nord costa 3 miliardi, in manovra la spinta alle cure sotto casa
La fuga dei pazienti in cerca di cure soprattutto verso gli ospedali del Nord sfiora ormai i 3 miliardi e supera addirittura i livelli di prima del Covid. Le strutture sanitarie più ambite dai pazienti in arrivo soprattutto da Campania, Calabria, Sicilia e Puglia restano come già accaduto nel passato quelle di Emilia Romagna, Lombardia, Veneto e Toscana. Il fenomeno della cosiddetta mobilità sanitaria dei pazienti – che nel 2023 ha raggiunto secondo i primi dati raccolti dall’Agenas un valore di 2,87 miliardi (erano 2,84 miliardi nel 2019 poi crollati negli anni della pandemia a 2 miliardi) – viene infatti da lontano ed è legato alle differenze nell’offerta dell’assistenza sanitaria tra le Regioni che si trascinano da sempre.
I pazienti si spostano anche per cure a bassa complessità
La novità è il fatto che oltre a quelli che una volta venivano chiamati “viaggi della speranza” – la ricerca cioè di cure spesso salva vita in ospedali di eccellenza di un’altra Regione – sono in crescita anche gli spostamenti dei pazienti per prestazioni meno complesse, magari facilmente ottenibili nell’ospedale più vicino a casa come l’operazione per un tunnel carpale o una protesi d’anca. Ecco perché il ministero della Salute ha deciso di provare ad arginare questa mobilità non proprio necessaria se non addirittura “inappropriata” con una misura ad hoc: “Quello che si è visto negli ultimi anni è che la mobilità ad alta complessità si è ridotta mentre è aumentata quella dei pazienti per prestazioni a bassa complessità, anche a fronte di una azione di alcune Regioni del centro Nord interessate ad attrarre pazienti da altre Regioni”, avverte il direttore generale della Programmazione del ministero della Salute Americo Cicchetti.
In Emilia e Lombardia boom di incassi, le misure in manovra
Da qui l’idea di intervenire con una norma in manovra che obbliga le Regioni a “sottoscrivere accordi bilaterali – recita l’articolo 55 della legge di bilancio ora in Parlamento – , per il governo della mobilità sanitaria interregionale e delle correlate risorse finanziarie, con tutte le altre regioni con le quali la mobilità sanitaria attiva o passiva assuma dimensioni che determinano fenomeni distorsivi nell’erogazione dell’assistenza sanitaria”. Nel mirino ci sono innanzitutto le Regioni citate prima e in particolare Emilia e Lombardia che rispettivamente hanno un saldo positivo di mobilità (cioè tra pazienti in entrata e quelli in uscita ) che è rispettivamente di 388 milioni e 379 milioni di introiti solo per il 2023 mentre tra quelle che scontano la mobilità in uscita ci sono almeno quattro Regioni del Sud e cioè Campania (-210 milioni di costi da rimborsare), la Calabria (-190 milioni), la Sicilia (-138 milioni) e la Puglia (-127 milioni).
L’obbligo di siglare degli accordi tra Regioni
La misura in manovra prevede che il ministero metta a punto un format di accordo entro febbraio del 2025 e che le regioni siglino questi accordi bilaterali entro il 30 aprile successivo: in particolare gli accordi dovranno servire a regolare sia la cosiddetta “mobilità apparente” (quella cioè tra Regioni confinanti) che soprattutto quella per prestazioni “a bassa complessità” in particolare per quelle Regioni che “complessivamente registrano una mobilità passiva pari almeno al 20 per cento del fabbisogno sanitario standard annualmente assegnato”. “Lo spirito della norma è garantire la libertà di scelta delle persone e cioè quella di curarsi dove vogliono però generando dei disincentivi se queste persone si muovono quando non ce n’è bisogno perché ospedali buoni ce ne sono in tutta Italia a cominciare dal Sud e non c’è bisogno certo di muoversi per cure a bassa complessità o peggio quando sono inappropriate”, aggiunge ancora il Dg della programmazione del ministero.
I possibili disincentivi finanziari
Ma quali saranno questi disincentivi? “L’idea è che gli accordi fissino dei paletti per disincentivare anche finanziariamente le cure a bassa complessità, magari rimborsando al 50% il Drg. Faccio un esempio: la Lombardia si impegna con la Calabria a fare delle verifiche sull’appropriatezza delle prestazioni rese ai cittadini calabresi e nel caso quei ricoveri non lo siano allora la Calabria non rimborserà o rimborserà di meno quelle prestazioni, se l’accordo lo prevede”, conclude Cicchetti.
Fonte: Il Sole 24 Ore