La natura è madre dalle tenere carezze

Le sue parole sono un ruscello fresco della Sierra Nevada, le sue riflessioni un cielo innocente nelle foreste lontane. I sessanta diari che John Muir scrive in vita sono passeggiate e ascese, appunti e disegni e ora la casa editrice Piano B, con la sensibilità che la contraddistingue, propone un primo volume con le pagine che vanno dal 1869 al 1873.

Il grande naturalista, nato nel 1838 in Scozia, emigra a undici anni negli Usa con la famiglia che costruisce una fattoria vicino a Portage, nel Wisconsin, e assorbe lo spirito di frontiera di quella terra. Frequenta l’Università del Wisconsin-Madison con l’ambizione di diventare un inventore di macchine. Poi, passa a medicina e, infine, a botanica. È proprio – così scrive nei suoi diari – durante un corso di botanica che capisce la sua strada: «Questa lezione mi affascinò e mi spinse a volare attraverso i boschi e le foreste con entusiasmo estremo». La natura lo chiama e la bellezza del linguaggio poetico di certe ballate scozzesi si fa ritmo e parola, tanto che i genitori ricordavano come, mentre scriveva, battesse il tempo con l’indice alzato. I diari giovanili sono andati perduti e, nelle prime pagine rimaste, racconta un viaggio attraverso Kentucky, Tennessee, Georgia e Florida. Disegna molto, gufi e altri animali, soprattutto rappresenta sé stesso: «John Muir, Pianeta Terra, Universo». Il Cosmo e il desiderio di vagabondare sono la sua meta. Scrive in rifugi di fortuna, durante giornate di nebbia, accanto a fuochi tremolanti, infila felci e fiori fra le pagine e cammina per chilometri e – ricorda Linnie Marsh Wolfe, nell’introduzione datata 1938 – «date le difficoltà del suo peregrinare, le sue note, scritte per lo più a matita, non sono facili da leggere dopo tutti gli anni passati». Ma quei taccuini sono stati il punto di partenza per i libri del naturalista. Per lui, i diari sono davvero solo appunti, anche perché la Natura è così travolgente, «così satura del calore di Dio», da lasciarlo senza parole. Proprio montagne e fiumi, boschi e canyon sterminati lo riducono all’impersonalità, per farsi «come una scheggia di vetro trapassata dalla luce» e per immergersi meglio nella Natura e studiarne i palpiti, i singhiozzi, le giornate a perdifiato. La Valle dello Yosemite è la sua casa, di rado torna in città perché è alla ricerca di ghiacciai morti e vivi, di brandelli di prove per la sua teoria sulle origini geologiche della Valle.

I ruscelli diventano rivoli di musica, i prati lenzuola di fiori e le nuvole visitatrici del tempo: Muir cammina nella Natura e scopre che la società è solo un orpello e così pure abiti e cibo. Sono le vette a umanizzarsi e sulle pagine dei diari il mondo umano e quello naturale si confondono, diventando Cosmo: «Queste belle giornate arricchiscono tutta la mia vita. Non esistono come mere immagini, mappe appese alle pareti della memoria, no, esse si saturano in ogni parte del mio corpo, e vivono per sempre»; «da un capo all’altro del tempio, dagli arbusti e dalle felci semisepolte sul suolo fino alle guglie più alte dei pini, tutto è un’unità finita di bellezza divina, soppesata sulla bilancia celeste, e trovata perfetta».

Nel giugno 1869, Muir prende in consegna le pecore di un irlandese e va alla ricerca degli alti pascoli sulla Sierra. Scrive quasi ogni giorno, anche poche righe, è il suo cibo quotidiano per entrare in simbiosi con distese verdi e temporali estivi: «La natura, pur spronandoci al massimo sforzo, guidandoci con il lavoro, presentandoci sfide su sfide in catene senza fine, lungo distanze infinite, ci rallegra come una madre con tenere parole d’amore, assistendoci in ogni nostra fatica e stanchezza». A novembre di quell’anno, scende a valle e trova in Harry Randall un perfetto compagno di venture: Harry fa il contadino e John lavora in una segheria, tanto da costruire insieme una cabin in cui rifugiarsi e studiare come il paesaggio della Valle di Yosemite si era formato con l’azione dei ghiacciai.

Muir non è più solo cantore di suoni e panorami, fa ricerca e diventa il naturalista che salva le montagne, che sceglie la strada dei parchi nazionali e fonda il Sierra Club. Nel 1873, cerca le evidenze scientifiche dell’azione glaciale: le montagne lo chiamano e deve andare. Raggiunge il monte Ritter, arriva fino al Lago Tahoe, sempre nella Sierra Nevada, e osserva marmotte e merli, donnole e galli cedroni, anemoni e ribes. Guarda le linee di massima pendenza dei pendii per studiarne l’origine. Il naturalista si confonde con il poeta delle vette, il tempo si può incupire, il vento può soffiare forte ma la comunione con ruscelli e ghiacciai è così totale che le nuvole possono solo oscurare il cielo, non i pensieri. Non la certezza che la natura cresce, sboccia in continuazione, senza che noi ce ne accorgiamo e senza far rumore. Distribuisce vita a ogni istante: «Ogni seme reca in sé l’estate ventura, e alcuni di loro, come la sequoia e il cedro, migliaia di estati».

Fonte: Il Sole 24 Ore