
La nuova partita delle recensioni tra chatbot e commenti falsi
«Posto tipo bettola». Questo commento al vetriolo assai negativo inserito in una recensione di un ristorante di Recanati, ventimila anime nella provincia maceratese, e pubblicato su TripAdvisor e su Facebook da una cliente insoddisfatta ha guadagnato le prime pagine dei giornali. Ed è costato assai caro all’autrice. Quasi settemila euro. A tanto ammonta la multa comminata per questa recensione ritenuta diffamatoria. Per alcuni si tratta di lesa maestà della libertà d’espressione, per altri è un freno alla dittatura delle recensioni. Per tutti però sono iniziati tempi duri per i giudizi implacabili dei clienti in rete e sui social. «La condanna per diffamazione di una recensione offensiva non deve essere letta come una vittoria delle imprese o una sconfitta dei consumatori. Perché questo caso non ci toglie il diritto di esprimere civilmente la nostra insoddisfazione quando giustificata, ma potrebbe servire per responsabilizzare tutta la filiera: i consumatori nella scrittura delle recensioni, le piattaforme nel moderare i contenuti e anche le imprese nella gestione delle risposte». Così afferma Massimiliano Dona, presidente di Consumatori.it, l’unione nazionale dei consumatori, divulgatore social e in libreria con “Il carrello dalla parte del manico” per Vallardi. Insomma, siamo usciti dalle dinamiche dei commenti al vetriolo fine a se stessi e come divincolarsi tra libertà di espressione e calunnia rilanciata a mezzo social? «Bisogna comprendere l’importanza di basare le critiche su fatti reali, ma non si devono scoraggiare le recensioni oneste e costruttive né essere usate da ristoratori e albergatori come strumento di intimidazione verso i consumatori», precisa Dona.
Ascia social da guerra
La partita è assai complessa e si gioca su uno scacchiere digitale con più attori. Parafrasando gli aggiornamenti sui nostri profili social, si potrebbe dire che la relazione tra brand e utenti diventa sempre più complicata. Una conversazione difficile da intavolare, un po’ come quella messa in scena dalla nuova campagna del marchio di abbigliamento sportivo svizzero On Sportswear tra il campione pluripremiato Roger Federer e Olmo, uno dei protagonisti più amati della saga dei Muppets. Non a caso tempo addietro il Guardian allertava le organizzazioni sulla deriva delle recensioni social. «L’ascia da guerra è stata dissotterrata e la protesta corre online e si aggiorna grazie alle leve del digitale, alle app, alle class action virtuali. Oggi bisogna temere i consumatori, non soltanto ascoltarli», scriveva Ryan Gilbey sul Guardian. Un effetto moltiplicatore difficile da arginare: la presenza di più canali di relazione in ambiente digitale ha forgiato il profilo di un consumatore più connesso e agguerrito. La survey promossa da American Express ha evidenziato come i clienti raccontano in media a 8 persone le loro esperienze positive di acquisto, mentre coinvolgono addirittura 21 persone per quelle negative. «Oggi però siamo entrati in una fase più matura del fenomeno, dove c’è maggiore consapevolezza da parte di tutti gli attori coinvolti. All’inizio, quando i consumatori si sono trovati tra le mani questo potente megafono digitale, c’è stato un effetto simile a quello che gli psicologi chiamerebbero “ebbrezza del potere”. Le persone si sentivano finalmente in grado di urlare la propria voce, a volte esagerando. Oggi vediamo un utilizzo più consapevole e costruttivo, con recensioni più articolate e specifiche, non più solo sfoghi emotivi. Le recensioni online stanno tornando al loro scopo originale: essere uno strumento di informazione e orientamento per altri consumatori, piuttosto che un’arma di vendetta o un mezzo per sfogare la propria frustrazione», dice Dona. In ballo c’è la salvaguardia del capitale reputazionale, capitale prezioso che si costruisce nel tempo con azioni concrete e coerenti. «Per salvaguardarlo alle aziende suggerisco innanzitutto di investire nella formazione del personale, insegnando loro anche la gestione delle criticità, stabilendo protocolli chiari e autentici di risposta alle recensioni online. Poi di costruire un dialogo continuo con i clienti: non solo rispondere tempestivamente e offrire soluzioni concrete, ma mostrare disponibilità al confronto diretto. E ancora incrementare standard elevati e misurabili, anticipando potenziali problemi», conclude Dona.
Reputazione a rischio
C’è poi un altro elemento che diventa centrale nel tempo segnato dagli stream senza fine e dall’attenzione ridotta. Il silenzio per le imprese – siano grandi multinazionali o piccole attività – non è più un’opzione percorribile. Perché mina quel tesoretto reputazionale raggiunto col tempo. «Le recensioni online sono solo una parte pur importante di un mondo molto più ampio che è quello della gestione della reputazione. A volte autentiche, a volte eterodirette e malevoli, ma anche queste ultime vanno necessariamente gestite. Le organizzazioni devono sempre prendere la parola – e questo punto non è più in discussione – ma la vera sfida è capire come farlo: Da Alitalia a Ceres e fino a Ryanair, sono molti i casi di gestione ben riuscita delle criticità online. Mai andare in scontro perché in caso di recensione negativa l’arma dell’ironia è sempre potente. In caso di errore dell’esercente, invece, mai avere paura di chiedere scusa, schiena dritta e impegno per migliorarsi e non ripetere l’errore», afferma Luca Poma, professore di reputation management all’Università Lumsa di Roma e autore di “Crash Reputation”. Intanto le nuove frontiere dell’intelligenza artificiale complicano la partita perché moltiplicano i rischi con i chatbot di varia natura e quindi l’esposizione dei brand. E poi c’è l’effetto deepfake che inquina l’ambiente digitale. «L’intelligenza artificiale aumenterà la complessità e quindi anche i rischi: occorre prepararsi per tempo, possibilmente con l’aiuto di professionisti, perché la buona reputazione è lunga da costruire ma velocissima da distruggere», conclude Poma.
Fonte: Il Sole 24 Ore