
La preveggenza di Anna Kuliscioff
Niente installazioni multimediali o diavolerie da intelligenza artificiale. Ci sono le parole e i documenti, i giornali e i libri, le fotografie (quelle sì, riprodotte) e le lettere, oltre al celebre salotto. La mostra dedicata ad Anna Kuliscioff (1854-1925) a Milano, al Museo del Risorgimento, è potente, nella sua compattezza: una stanza che porta nel cuore del socialismo che fu, esaltando la straordinarietà della protagonista.
Organizzata dalla Fondazione Kuliscioff per il centenario della morte (avvenuta il 29 dicembre), l’esposizione trasmette la visione illuminata e la forza anticipatrice della socialista. Nelle sue battaglie, che le costarono più volte il carcere, c’era già tutto quello per cui le donne hanno lottato nei decenni successivi: il diritto di voto, la tutela e un’equa retribuzione per le lavoratrici, la sanità garantita agli strati più poveri della popolazione. Prima ancora, la libertà. Quella libertà in nome della quale la figlia Andreina – avuta dall’anarchico Andrea Costa (1851-1910) – sceglie di sposare il rampollo di una ricca famiglia borghese e di coltivare la fede cattolica: un paradosso, con due genitori rivoluzionari e atei. «Come buoni e convinti socialisti dobbiamo rispettare anche la volontà e l’individualità dei nostri figli», scrive Anna Kuliscioff a Costa, con cui la relazione si spegne dopo circa dieci anni.
L’aveva conosciuto a Zurigo, dove nel 1871 si era iscritta al Politecnico perché in Russia alle donne era interdetta l’Università. Quando un decreto dello zar che richiama le studentesse in patria la costringe a tornare, Anja Rozenstejn (questo il suo nome d’origine) probabilmente sa già che la sua strada è altrove. Nel 1877 si rifugia in Svizzera con un falso passaporto ed è una scelta definitiva: assumerà il nome Kuliscioff, mentre la sua coscienza politica si definisce progressivamente e si esprime su vari fronti, tra l’Italia e Parigi. I tredici mesi di carcere, dopo l’accusa di cospirazione nel ’78 a Firenze, ne minano la salute (si ammalerà di tubercolosi ossea) ma rafforzano le sue idee. Scrive le Corrispondenze dalla Russia sull’Avanti! e, quando nell’81 nasce Andreina, sente stretta la vita che le si prospetta a Imola, dove si era stabilita con Costa, cresciuto lì.
Guidata dal proprio spirito ribelle e indipendente, si trasferisce con la bambina a Berna per studiare Medicina. In una delle teche della mostra sono esposti i documenti che registrano i falliti tentativi di rientro nelle Università italiane, a Padova o a Pavia: per una con un tale “curriculum” politico, non era facile. Le apre le porte la Federico II di Napoli, nel 1884, ed è lì che conosce Filippo Turati. Archiviato definitivamente il capitolo con Costa, è l’ora di un sodalizio sentimentale e intellettuale, accompagnato da un prezioso Carteggio (pubblicato da Einaudi), nel quale Anna Kuliscioff preserva con fierezza la propria autonomia.
Comincia nel 1887 una nuova vita a Milano, dove può esercitare la professione di medica (sì, al femminile, come ama dire) e mettere a frutto la specializzazione in ginecologia. Parallelamente scrive, traduce articoli, incontra militanti. Il monopolio del maschio (1890), riproposto recentemente nella raccolta Non sono la signora di nessuno (Fuoriscena, pagg. 208, € 17) introdotta da Fiorenza Taricone, è un compendio sulla disparità di genere con temi e argomentazioni che ricorrono ancora oggi; l’attenzione all’indipendenza economica della donna – e quindi al lavoro – la porterà a fondare e dirigere «La difesa delle lavoratrici» (1912… oggi sarebbe un giornale alquanto letto). C’è lei dietro i provvedimenti voluti dal Partito dei Lavoratori italiani che aveva contribuito a fondare nel 1892 a Genova (poi divenuto Psi), come la legge sulla tutela del lavoro minorile e femminile. Il suo piglio e la sua personalità emergono in quella che è la madre di tutte le battaglie, il diritto di voto, quando sulle pagine di «Critica sociale» non esita a scontrarsi con Turati che vi si oppone perché, a suo dire, i tempi non sono maturi.
Fonte: Il Sole 24 Ore