La regina Ahhotep vinse gli Hyksos e riunì l’Egitto

La regina Ahhotep vinse gli Hyksos e riunì l’Egitto

Maria Luisa Colledani

Come brillano, dopo 3.500 anni, gli occhi di Ahhotep, la regina che cambiò la storia dell’Egitto. Il suo sguardo enigmatico e altero è al Museo egizio del Cairo e gli occhi in smalto nero fiammeggiano incastonati in un cerchio d’oro, navigando nell’oro che ricopre la cassa della mummia. Il sarcofago della regina è la sua unica immagine rimasta perché, quando il sarcofago fu aperto nel 1859, il corpo fu distrutto nella fame frettolosa di monili e oggetti preziosi contenuti tra le fasce. Lo sguardo è solo quello smalto nero ma il tesoro racconta la donna che, verso il 1550 a.C., fu decisiva contro i feroci Hyksos, i “sovrani di terre straniere”, che avevano squassato il regno dei faraoni, e ridare futuro all’Egitto. Dagli oltre 70 oggetti del corredo parte Gianluca Miniaci, professore associato di Egittologia all’Università di Pisa, per Il tesoro perduto della regina Ahhotep. Una donna alla riconquista dell’antico Egitto, un viaggio nel tempo, una spy story fatta di indizi archeologici e intuizioni scientifiche per dare un volto alla “Luna in pace”, perché questo significa Ahhotep.

Il tesoro è sontuoso: oltre a gioielli e amuleti per proteggerlo, armi come simbolo del potere militare, due barche in miniatura per ricordare che la morte era nient’altro che un viaggio nell’aldilà, due pedine da gioco per intrattenersi nell’eternità e, infine, oggetti per la cosmesi e la cura della persona, come uno specchio, un ventaglio, un unguento per truccare gli occhi, un cuscino, sotto forma di poggiatesta in legno. Il corredo della regina, scoperto da Auguste Mariette nel 1859 a Dra Abu el-Naga, nei pressi di Luxor, è specchio di un Egitto ancora a metà strada tra la vittoria sugli Hyksos e la necessità di trovare alleati e risparmiare sulle materie prime, come i metalli o il legno del Libano. Ma, scrive Miniaci, «benché spettacolare, il tesoro sembra essere abbastanza incompleto, mancando tutti quegli elementi poveri ma essenziali per una sepoltura egizia, quali le ciotole di argilla per la deposizione del cibo, eterno sostentamento del defunto, i vasi in argilla per il trasporto dell’acqua e dei balsami, le stele di pietra, gli oggetti in faïence, un materiale vetroso smaltato che riprendeva lo splendore dell’acqua turchese e delle notti stellate». Oltre alle mancanze, alcune anomalie: se il nome della regina Ahhotep era iscritto sul coperchio, nessuno degli oggetti trovati al suo interno ne portava il nome, mentre c’erano cartigli riferiti ad altre due persone: Kamose, l’ultimo re della XVII dinastia, e Ahmose, il fondatore della XVIII dinastia. E il “detective” Miniaci resta colpito soprattutto dall’iscrizione centrale: Ahhotep viene chiamata “moglie di re” e “grande sposa reale”, ma manca l’epiteto più atteso, quello di “madre di re”. Perché una delle regine più importanti del tempo, madre di colui che aveva sconfitto gli Hyksos, non avrebbe recato inciso sul proprio sarcofago il titolo di “madre di re”?

Il saggio si fa coinvolgente, l’analisi dei reperti e i riscontri della storia sono i pezzi del puzzle al quale trovare posto nel quadro generale. Poi, nell’intreccio, fra dubbi e misteri, deve trovare ragione anche la scoperta – datata 1881 – di un sarcofago che recava il cartiglio di una regina chiamata Ahhotep. Siamo all’interno del nascondiglio di Deir el-Bahari, fra sarcofagi di sovrani e membri della famiglia reale, e il secondo sarcofago attribuibile a una sovrana con questo nome riporta anche l’appellativo “madre di re”, che mancava sul sarcofago trovato dagli uomini di Mariette. Miniaci intreccia cartigli, amuleti e genealogie. Fa ipotesi su Ahhotep: «fosse scesa o no in battaglia, avesse guidato o no l’esercito egizio o una sua divisione poco importa: il suo ruolo era stato ugualmente fondamentale per tenere insieme le varie anime del paese e per stringere alleanze di cui poi il giovane figlio Ahmose si sarebbe servito per sconfiggere gli Hyksos, in quella che sarebbe stata la battaglia finale». E una stele di Karnak pare confermare il suo ruolo: Ahhotep, madre del re Ahmose Nebpehtyra, si era «presa cura dei suoi soldati», sedando le ribellioni e riportando indietro i fuggitivi. Ahhotep aveva navigato fra guerre e popoli feroci, ricchezze infinite e l’amore per il figlio diletto sorretta da un cuore grande, quello che lo scarabeo in oro massiccio e lapislazzuli del suo corredo ha protetto per l’eternità. Come ricorda il Libro dei Morti, ogni scarabeo aveva cura del cuore nel passaggio tra la vita e la morte, evitando che esso potesse testimoniare contro il defunto all’atto del giudizio nell’aldilà. Ma che cosa mai avrebbe potuto temere Ahhotep, la regina guerriera?

Gianluca Miniaci, Il tesoro perduto della regina Ahhotep. Una donna alla riconquista dell’antico Egitto, Carocci, pagg. 176, € 22

Fonte: Il Sole 24 Ore