La Resistenza di Miss Dior

La Resistenza di Miss Dior

Nel 1952 Christian Dior era il celebre e osannato stilista che conosciamo, in una Francia che voleva buttarsi alle spalle gli orrori della guerra, dell’occupazione, del collaborazionismo e tornare alla vita. Proprio in quel 1952, tra feste sontuose e sfilate sorprendenti, un’altra Dior, Catherine (1917-2008), sorella di Christian, urlava la sua rabbia in un processo contro i torturatori che avevano annientato la sua dignità e quasi uccisa nell’estate del 1944, quando era stata catturata dalla Gestapo.

Catherine aveva fatto parte della Resistenza – precisamente del gruppo F2 attivo dal ’40 – quando era una ventenne coraggiosa e impavida. Al momento dell’arresto viveva con suo fratello a Parigi in rue Royale; lui, Christian, sapeva della sua attività, anzi, capitava che passassero di lì diversi partigiani. Una vicenda raccontata da Justine Picardie, giornalista britannica (a dispetto del nome) tradotta da Donzelli, che parte dalla famiglia d’origine dei due fratelli, ne segue il destino funesto (il fratello maggiore Raymond esce a pezzi dalla Grande guerra, Bernard è ricoverato con problemi psichiatrici, l’impresa del padre Maurice va a picco, la mamma Madeleine muore a 51 anni) che anticipa la caduta di Parigi, presto occupata dai tedeschi. Lo sguardo dell’autrice si concentra quindi su Catherine Dior e sull’ingresso nella Resistenza dopo aver incontrato l’uomo della sua vita, il partigiano Hervé des Charbonneries (al tempo sposato e padre di tre figli): è con lui che entra in clandestinità, nome in codice Caro. Lavora nella cellula di Cannes, le sue mansioni sono rischiosissime, dalla compilazione di dispacci poi inviati ai servizi segreti di Londra all’occultamento e smistamento di documenti fino a sopralluoghi sulla costa e mappe da disegnare con i dettagli delle infrastrutture tedesche.

Non basta trasferirsi nella capitale, quando due membri del gruppo vengono giustiziati ed è chiaro ormai che le delazioni stanno crescendo. A Parigi l’aspetta rue de la Pompe. Al numero 108, in un appartamento su tre piani requisito a una famiglia ebrea, c’è il quartier generale della banda Berger, che richiama la banda Koch di villa Fossati (poi ribattezzata villa Triste) a Milano: è una delle squadre più spietate ed efficienti guidata da Friedrich Berger, reclutato dalla Gestapo con la giusta combinazione di denaro e minacce. Berger, a sua volta, con gli stessi metodi aveva arruolato 40 persone specializzate «nella caccia agli ebrei e alle reti della resistenza». Ne facevano parte anche tre giovani donne francesi. Una di loro, Madeleine Marchand, fu la spia che tradì Catherine Dior: entrambe non avevano ancora 27 anni. Un’altra era la compagna di Berger, Denise Delfau: lei assisteva alle torture e prendeva appunti quando le vittime, sfinite e ridotte ai limiti dell’umano, cedevano e facevano i nomi.

Catherine resistette. Fu picchiata selvaggiamente, torturata e quasi annegata nella vasca da bagno piena di ghiaccio dove la lasciarono per ore, dopo essere stata denudata. Gli aguzzini le bloccavano la testa sott’acqua, la tiravano fuori e partivano le raffiche di domande ma lei, non si sa come, con quale forza e lucidità, riuscì a non dire una parola. Picardie ha letto diverse testimonianze di sopravvissuti in rue de la Pompe e descrive l’orrore di quel luogo. Uno splendido salotto, arredato con morbide tende viola, poltrone, divani e un pianoforte a coda, accanto a varie camere da letto, una stanza da bagno e una cucina. Il tutto accompagnato da sangue, urla strazianti, lamenti, arnesi per la tortura, mentre c’era chi suonava Mozart e beveva una coppia di champagne e chi, come Berger, si imbottiva di cocaina.

Catherine riuscirà a sopravvivere, ma solo per essere trasferita a Ravensbrück: schedata con il numero 57 813, era una delle 22 resistenti torturate dalla banda Berger. Basti dire che quando tornò a Parigi a fine maggio 1945 – dopo i lavori forzati in altri due campi e dopo essere sfuggita a una marcia della morte scappando a Dresda – era in uno stato tale che il fratello Christian non la riconobbe. Nel raccontare il dramma di Catherine, Picardie riprende inevitabilmente anche la vita dello stilista che dopo aver lavorato per altri couturiers presentò la sua prima collezione in Avenue Montaigne, il 12 febbraio 1947 (il “new look”, come fu battezzato da Carmel Snow dell’«Harper’s Bazaar»). Sua sorella era nel pubblico e osservava le modelle che spandevano la fragranza del profumo Miss Dior, la cui formula si ispirava al gelsomino e alle rose adorate da Catherine (la cui rinascita si concretizza anche nell’attività di fiorista, una passione che aveva coltivato da sempre). Alla morte improvvisa di Christian, stroncato da un infarto nel 1957 a 52 anni a Montecatini, sarà lei – scrive Picardie – a curarne la memoria e a gestirne il patrimonio.

Fonte: Il Sole 24 Ore