La Resistenza, tanti luoghi un solo obiettivo

La Resistenza, tanti luoghi un solo obiettivo

un solo obiettivo

in montagna, in città

I luoghi dei partigiani. Paolo Pezzino racconta gli scenari della Resistenza, sfondo della lotta delle varie bande armate contro i fascisti e i tedeschi per la conquista della libertà

Il punto più a Nord è Domodossola, all’estremo Sud c’è Cassibile, nel mezzo si va da Salerno all’Emilia passando per l’Abruzzo e poi più su, in Veneto, a Milano, in Piemonte: la cartina che precede il racconto di Paolo Pezzino traccia graficamente la parabola di un movimento che nel volgere di venti mesi cambia le sorti dell’Italia umiliata dal regime e piegata dall’occupazione tedesca. A guardarla bene, quella cartina, è segnato un puntino nel mar Tirreno: Ventotene, luogo simbolico «che ha legato chi non ha mai rinunciato a opporsi al fascismo, anche durante il ventennio, a chi (…) ha partecipato a un movimento nazionale di resistenza ampio, articolato, originale», scrive l’autore. Proprio con l’omaggio agli antifascisti confinati nella minuscola isola comincia Andare per i luoghi della Resistenza: chi legge si sintonizza con Pezzino, viaggia tra le valli, si mimetizza in montagna, interagisce con gli Alleati, studia azioni di guerriglia, vive l’esperienza delle zone libere, esulta o si dispera accanto ai protagonisti.Ci sono i luoghi e al contempo le persone, che guidano le bande di diverso orientamento politico (se legate ai partiti) o anche autonome, mosse dal desiderio di libertà, dall’insofferenza per l’invasore, persino dalla fedeltà al re (che non riuscivano a mettersi alle spalle nonostante il maldestro e vile abbandono). Con tutti i distinguo e le contraddizioni, spiega Pezzino, un filo unico collega i gruppi nati all’indomani dell’8 settembre 1943 (compresi quelli che sono attivi al fianco degli Alleati, inglesi e americani, guardati con diffidenza dai partigiani): cacciare l’occupante e, nella maggior parte dei casi, essere animati da un sentimento repubblicano.Nell’essere scandito dai luoghi, il libro ha un andamento cronologico. Si parte dall’annuncio dell’armistizio in Sicilia, con Mussolini poi rinchiuso a Campo Imperatore. Al blitz dei paracadutisti tedeschi che lo liberano seguirà la costituzione della Repubblica sociale italiana sulle rive del lago di Garda. Un nuovo capitolo si è aperto: l’Italia è divisa in due con Vittorio Emanuele III e Badoglio insediatisi a Sud e Roma alla mercè dei tedeschi. La capitale cade il 10 settembre, ma il giorno prima nasceva in via Poma il Comitato di liberazione nazionale, seguìto presto da quelli di Milano, Firenze, Torino, Genova e altre città. In questo contesto si formano i gruppi partigiani, dalle Brigate Garibaldi, che hanno come riferimento il Pci, a quelle di Giustizia e Libertà legate al Partito d’Azione, alle Fiamme Verdi (Partito liberale o Dc), senza dimenticare i Gap (Gruppi di azione patriottica) e le Sap (Squadre di azione patriottica) che si collocano in pianura, nelle città e nelle campagne. Accanto a queste formazioni dalla spiccata identità, ne sorgono tante altre sparse nel territorio, come l’apolitica brigata Maiella in Abruzzo, che combatte con l’esercito inglese, o quelle guidate da Mario Ricci “Armando” in Emilia, inquadrate nell’esercito americano. Un mosaico che si allarga e si struttura anche militarmente nel corso del ’44, arrivando – ricorda Pezzino – a contare 50mila persone nell’estate di quell’anno.La Resistenza però, ha anche un altro volto: quello di chi lotta senza armi, per esempio attraverso gli scioperi nelle fabbriche, esponendosi – senza possibilità di difesa – alla rappresaglia del nemico. Nel marzo del ’44 lo sciopero generale, pur non coprendo l’intera Italia occupata (le cifre ufficiali parlano di 210mila aderenti ma le stime si spingono a un milione 200mila), finisce sulle pagine del New York Times: « In fatto di dimostrazioni di massa non è mai avvenuto nulla di simile nell’Europa occupata che possa somigliare alla rivolta degli operai italiani». Pessino non manca di dedicare un capitolo a via Rasella e all’eccidio delle Fosse Ardeatine (24 marzo 1944), con le polemiche e l’odissea giudiziaria (chiusa dalla Cassazione che nel 1998 ratifica l’ergastolo per Erich Priebke), né di soffermarsi sulle deportazioni nel campo di Fossoli. L’impegno e la tenacia dei partigiani, e il prezzo che pagano giorno dopo giorno tra torture e fucilazioni accanto alle forze alleate, portano risultati. La liberazione progressiva delle città coincide con alcuni episodi di efferata brutalità, come l’impiccagione di una trentina di giovani resistenti a Bassano del Grappa (26 settembre 1944), i cui corpi restano appesi per quattro giorni nel viale principale. Un episodio che portò la diciassettenne Tina Anselmi – andava a scuola lì e assistette alla macabra scena – a scegliere da che parte stare (forse l’autore, che nell’introduzione pone l’accento sul ruolo delle donne, spesso confinato alla limitativa parola “contributo”, avrebbe potuto dedicare maggiore spazio a qualche iconica figura femminile). Si arriva così all’epilogo di piazzale Loreto, della Liberazione e del disarmo dei partigiani, dopo pagine che sintetizzano lo scontro al confine nord-orientale deflagrato nell’attacco di Porzûs (7 febbraio ’45): l’uccisione di 17 membri della brigata Osoppo da parte dei gappisti guidati da Mario Toffanin, una lacerazione tutta interna alla Resistenza che non si rimarginerà.Resta, osserva l’autore, un punto fermo: se alla resa dei conti «l’Italia poté mantenere la propria sovranità statale, diversamente dalla Germania, nonostante le gravissime responsabilità del regime fascista nello scoppio della guerra, fu anche per merito delle minoranze impegnate nella Resistenza, e per l’opera dei Comitati di liberazione nazionale (…). Una resistenza soltanto passiva avrebbe aggravato le condizioni di pace imposte al Paese, rendendo gli Alleati gli unici arbitri del destino politico italiano».

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Fonte: Il Sole 24 Ore