La rivincita delle smart land,

Due giovani fotografi professionisti globetrotter un giorno all’improvviso hanno un’intuizione sulle vette innevate della Patagonia: dopo aver girato il mondo intero, vogliono portare quel mondo a casa propria. Detto, fatto. Rientrano in Italia e decidono di prendere residenza in una borgata disabitata in Piemonte. E di farla tornare a nuova vita. Questa è la storia di Simone Mondino e Romina Manassero, trentenni entrambi nati a Cuneo che hanno deciso di andare a vivere a Tetto Caban, piccola borgata a 900 metri di altezza ai piedi della Bisalta. Siamo tra i comuni di Peveragno e Chiusa di Pesio. Sette case e due residenti. Il comune più vicino è proprio Chiusa Pesio, meno di quattromila anime. Siamo in una valle estesa per una decina di chilometri. Qui i due hanno creato una struttura di accoglienza per turisti dalla quale raccontano la loro vita lontana dai contesti metropolitani. «È la realizzazione di un sogno. Prima facevamo i fotografi per promuovere la montagna in giro per il mondo e ora vogliamo far vivere una terra di mezzo che spesso viene dimenticata. Per telefonare abbiamo un ponte radio a uso privato che gira attorno alla montagna», racconta Mondino. Loro si definiscono montanari digitali e si raccontano sui social. La pagina su YouTube si chiama “I due vagamondi” e conta migliaia di iscritti. «Abbiamo coniato questo termine perché non vogliamo vivere come un tempo, bensì raccontare sui social come un piccolo borgo si possa svecchiare e aprirsi al mondo», precisa Mondino.

Il piccolo che diventa globale

Sono in buona compagnia. Sempre più cittadini decidono di abbandonare gli affollati contesti metropolitani e di ridare nuova vita a piccoli comuni, contrade, borghi, agglomerati di poche migliaia di abitanti. È la rivincita del piccolo che però si fa grande connettendo i servizi grazie al digitale e puntando su dinamiche relazionali. L’ha messo nero su bianco l’illustratore scozzese Tom Gauld sul New Yorker con una copertina che racconta il brulicare di vita in un piccolo comune per via dello smartworking: si intravede una casa dei sobborghi londinesi con le persone al lavoro. C’è vita durante il giorno, laddove un tempo si andava solo a dormire.

Il 17% dei piccoli comuni attivi in un progetto smart

Non solo smart city, bensì smart land: si palesano piccoli agglomerati più vivibili e più connessi. «Smart land è un concetto che nella letteratura scientifica è prevalentemente utilizzato in Italia e non è un caso. In un mondo sempre più interconnesso la digitalizzazione del tessuto urbano è ormai una necessità anche per l’Italia, dove il 70% dei comuni ha meno di cinquemila abitanti. Questo modello implementa tecnologie intelligenti per migliorare la qualità della vita anche nei piccoli centri», afferma Matteo Risi, Direttore dell’Osservatorio Smart City del Politecnico di Milano. Così la smart city si diffonde oltre la città. Da noi esistono piccoli comuni attivi in almeno un progetto smart: si tratta del 17 per cento.

Quali sono gli ostacoli?

Gli investimenti si concentrano in sicurezza, comunità energetiche e coinvolgimento attivo dei cittadini. «A differenza delle città più grandi la smart mobility non è tra le priorità forse perché questi contesti risultano generalmente meno soggetti al traffico. C’è un crescente impegno nonostante manchino ancora personale qualificato e risorse economiche. La sfida principale sarà proprio quella di riuscire a coinvolgere anche i centri urbani di minori dimensioni: sebbene necessitino di maggiore supporto in questa transizione, sono di imprescindibile importanza poiché costituiscono il tessuto principale del territorio italiano», precisa Risi. Tra gli ostacoli ci sono la carenza di personale (52%), di risorse economiche (48%) e di competenze (47%). Insomma, è più un tema culturale che tecnologico. «La smart city è un fenomeno rivoluzionario che coglie impreparati in molti. Le carenze da colmare sono il frutto di mancanze spesso stagnanti. A tal proposito il punto di partenza è dapprima il tema culturale, ma c’è poi quello infrastrutturale che si declina in mancanza di risorse economiche, personale e competenze. È necessaria una soluzione simultanea che intersechi tutti i fattori», dice Risi. Lo sostiene anche un recente rapporto del World Economic Forum: la trasformazione digitale dei paesi di piccole e medie dimensioni sconvolge i modelli aziendali tradizionali, supera i confini geografici e spaziali e crea nuovi modi di vivere nell’era digitale. Tuttavia vanno affrontate nuove sfide: risorse insufficienti, scarsa applicazione delle tecnologie e mancanza di meccanismi interurbani di cooperazione. Intanto un comune su tre anche tra quelli più piccoli vuole lavorare in futuro adottando soluzioni di intelligenza artificiale: dagli sportelli per i cittadini gestibili da assistenti virtuali fino alla gestione automatizzata di impianti di illuminazione che si adattano alle condizioni del meteo e del traffico.

La forza della rete

Un modo per ottimizzare gli investimenti e offrire servizi continui. Ma bisogna fare rete. «La sfida in futuro sarà legata ai requisiti richiesti per gestire alcune applicazioni in compliance con il nuovo AI Act. Una sfida che potrà essere assolta solo con un lavoro di ecosistema», conclude Risi. Intanto l’aspetto sociale della trasformazione digitale tende a essere dimenticato, come è emerso dall’ultimo forum di Eurocities conclusosi poche settimane fa. Lo sintetizza Haydee Sheombar, professoressa di Tecnologie all’Università Erasmus di Rotterdam. «Si parla di sviluppo tecnologico, ma dobbiamo riportare l’attenzione sulle persone. Se si vuole costruire una città intelligente, non servono solo infrastrutture ma anche cittadini intelligenti».

Fonte: Il Sole 24 Ore