La rivoluzione di Maria Giudice

Era decisamente troppo all’avanguardia per poter essere capita e unanimemente apprezzata, Maria Giudice. Questa è una prima considerazione che si trae dalla lettura della biografia che Maria Rosa Cutrufelli, femminista, giornalista e scrittrice, le ha dedicato. Quando si precorrono i tempi come ha fatto la socialista lombarda – a favore del diritto di voto per le donne, ostinatamente laica, pacifista irriducibile, madre che non rinuncia all’impegno e molto altro – si diventa ingombranti. Accade nel partito di appartenenza, tra i compagni di lotta, agli occhi dei propri figli. Spesso si finisce per essere tacitate e rimosse dalla storia, come è accaduto a lei, che per paradosso è nota come “la madre di” Goliarda Sapienza.

Per questo l’agile profilo scritto con passione e partecipazione da Cutrufelli, rilanciato ora da Neri Pozza (dopo l’uscita con Giulio Perrone), è importante: restituisce spazio e visibilità a una figura che sin dall’immagine di copertina dichiara il coraggio delle sue scelte e il temperamento indomabile. È una foto segnaletica, matricola 3403, una di quelle che le hanno fatto in carcere, in uno dei tanti arresti affrontati nella sua vita.

Un’esistenza intensissima, più di un romanzo, che comincia a Codevilla (minuscolo paesino in provincia di Pavia) nel 1880, in una famiglia della piccola borghesia con saldi valori democratici (il nonno paterno era un seguace di Mazzini affiliato alla Carboneria). L’opportunità di studiare, sotto gli occhi della mamma sensibile alla poesia e del papà agricoltore con una viva coscienza politica, porta Maria Giudice sulla strada del diploma da maestra, a Voghera. Qui abbraccia le istanze socialiste, grazie anche all’incontro con il giornalista Ernesto Majocchi, direttore del settimanale «L’uomo che ride» e poi del quindicinale «La parola dei lavoratori»: fogli ribelli, antigovernativi, popolari, una palestra formidabile. Maria Giudice esordisce con un articolo sul diritto di voto alle donne, sollecitando gli uomini ma rivolgendosi anche alle proletarie: devono rivendicarlo per poter partecipare al cambiamento.

Nel 1902 l’iscrizione al partito è un passo naturale nella sua crescita politica, così come lo sono gli incontri e le conferenze che tiene da un paese all’altro. Sa parlare, Maria Giudice. La sua priorità è il lavoro. Le condizioni degli operai, delle filatrici, dei fornaciai sono al centro delle sue arringhe. La guida della Camera del Lavoro di Voghera prelude a quella che arriverà, prestigiosa, alla Camera del Lavoro di Torino, figlia di un’esperienza solida che si costruisce nel tempo.

Ma non ci sono solo le arringhe e la scrittura. C’è anche la protesta che suscita clamore e ha conseguenze pesanti, come quella a Borgosesia, davanti alla Manifattura Lane, dove alcune operaie sono state licenziate e lei si stende sul selciato. Il bianco del suo vestito si appanna quando due guardie la trascinano a forza nella polvere. L’aspetta la prigione. Proprio in carcere incontra il padre dei suoi primi sette figli, assistente dell’avvocato che la difende. Un grande amore, Carlo Civardi. Non si sposano, l’amore è un sentimento intimo che va sottratto alle formule di un asettico contratto. Superano tante difficoltà, grazie all’aiuto delle sorelle di lui che crescono i bambini mentre loro continuano la loro attività. Quello che non superano è lo scontro sulla guerra incombente: Maria, fedele all’idea della pace da difendere a ogni costo, non capisce le ragioni di Carlo, convinto sostenitore della necessità del conflitto. Il fronte li dividerà per sempre, Civardi andrà a combattere contro l’odiata Germania e rimarrà ucciso nel 1917.

Fonte: Il Sole 24 Ore