La storia dei rubini di Groenlandia, dove un mare di gemme giace sotto la terra ghiacciata
Una divinità delle acque, dalle forme sinuose e ondeggianti dove si fondono la cultura e la storia dei popoli norreni e degli Inuit. È la figura scelta dallo scultore canadese Thomas McPhee per intagliare il favoloso rubino da oltre 440 carati trovato nel terreno ghiacciato della Groenlandia. Era il 2015, e da un anno la società canadese True North Gems, dopo ben 10 anni, aveva finalmente ricevuto dal governo dell’isola la concessione trentennale per avviare le sue attività di estrazione mineraria.
Dei tanti minerali che già a inizio ’800 lo studioso Carl Ludwig Giesecke (ex attore e, a sua detta, vero librettista del Flauto Magico di Mozart) aveva individuato nelle spedizioni lungo le coste della Groenlandia, a bordo delle imbarcazioni Inuit, i rubini erano una scoperta relativamente recente. Solo nel 1965, in effetti, Martin Ghisler del Geological Survey of Greeland scoprì i primi rubini nella zona di Aappaluttoq, nel sud-ovest dell’isola, a circa 160 km a sud della capitale Nuuk. Un nome, un destino: Aappaluttoq in groenlandese significa “rosso”.
Torniamo al rubino intagliato e noto da allora come Kitaa Ruby, il rubino che ha preso il nome della ex area amministrativa della Groenlandia occidentale dove è stata trovato, diventato una scultura preziosa da oltre 302 carati. La True North Gems era convinta di aver visto giusto, sotto quel terreno ghiacciato. Negli anni precedenti aveva già individuato smeraldi lungo il corso dello Yukon, a Tsa Da Glisza, e zaffiri nell’isola canadese di Zaffin. Ma era proprio in Groenlandia che secondo loro si celava uno dei più grandi giacimenti di rubini di tutto l’emisfero boreale: i depositi individuati erano 29 , disposti su un’area di 110 km quadrati. E c’erano anche zaffiri rosa. Per iniziare a scavare si formò una nuova società con il contractor norvegese LNS Group, la True North Gems Greenland, per il 76% controllata dai canadesi e per il 27% da Lns, che si occupava appunto delle attività di estrazione.
Il potenziale, per quella nuova industria, era enorme: il commercio dei rubini del Myanmar, i più numerosi e preziosi del pianeta, era bloccato dalle sanzioni subite fin dal 2008 e rafforzate nel 2021 e 2023, che impedivano la vendita delle gemme sui mercati statunitense ed europeo. Almeno, la vendita legale. Ma proprio in quegli anni, altri grandi giacimenti erano stati scoperti in Mozambico, con gemme di qualità anche migliore di quella dei rubini della Groenlandia: anche se racchiudevano l’inizio della storia della Terra, visto che si stima risalgano a 3 miliardi di anni fa, appena uno in meno dell’età del nostro pianeta, le loro frequenti infiltrazioni richiedevano trattamenti chimici. Per questo venivano spedite in Thailandia, dove True North Gems aveva aperto una filiale, Paese noto da secoli per i suoi metodi di miglioramento del colore delle gemme.
Tuttavia i primi dati di vendita, nel 2016, furono tutt’altro che soddisfacenti per gli investitori. True North Gems fu costretta a dichiarare bancarotta, per poi essere rilevata, appena 10 giorni dopo, da Lns Group. Nacque così una nuova società, la Greenland Ruby. E fu subito chiaro che per sopperire a una qualità definita “media-commerciale” bisognava puntare anche su altro. L’aiuto a comprendere la strategia da adottare viene paradossalmente dalle proteste locali, che già da anni avevano accompagnato le attività estrattive: nel 2007, infatti, quando True North Gems aveva iniziato i suoi sondaggi, la 16th August Union, in particolare, contestava il fatto che si sarebbe potuto formare un monopolio che avrebbe escluso dai benefici economici le popolazioni locali, peraltro impedendo loro di raccogliere gemme, come accadeva da secoli.
Fonte: Il Sole 24 Ore