La versione di Rosita, stilista che amava l’arte e i viaggi e sapeva tradurli in abiti

La versione di Rosita, stilista che amava l’arte e i viaggi e sapeva tradurli in abiti

Con Rosita Jelmini Missoni, la moda italiana perde l’ennesimo pioniere. A lei, ad Ottavio, ma anche a Mariuccia Mandelli e a un drappello di implacabili visionari, si deve la nascita stessa di Milano come centro nevralgico del sistema, a seguito di una diaspora convinta via da Firenze e dalla Sala Bianca.

Di quella generazione, che a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento ha creato un fenomeno globale, definendo uno stile così come un metodo produttivo che mantenne nel prodotto industriale l’esprit dell’artigianato, solo Giorgio Armani rimane al timone e ancora attivo. Degli altri si serba la memoria, con l’ombra dell’oblio che incombe, minacciosa e ingiusta.

Rosita era l’altra metà di Missoni: un diodo potente, fatto di personalità complementari perfettamente incastrate una con l’altra. Se Ottavio, gioviale e gigione, immaginava fiammati e jacquard geometrici come pure esplorazioni di colore e materia, Rosita, polso d’acciaio e sentire cosmopolita, riusciva a trasformare quelle astrazioni in forme svelte, immediate eppure cariche di echi di altri tempi e di altre culture. Era una imprenditrice, dal gusto spiccato e l’immaginazione fervida. Il “put-together”, quel modo unico di assemblare disegni e colori che rimane il contributo più grande dei Missoni al lessico contemporaneo della moda, insieme all’idea del vestire in maglia, era certamente un traslato indossabile della libertà e dell’eclettismo degli anni Sessanta, ma quel che esso davvero significa è un magnifico nomadismo, l’abbattimento di ostacoli e barriere tra popoli, arti e culture.

Nel progettare le collezioni Missoni, Rosita viaggiava in lungo e in largo, indietro e in avanti, con una rara capacità di sintesi. Si muoveva da Vienna al deserto, dalle miniature persiane all’optical, senza mai essere letterale, lasciando che il suo occhio imbibito di bellezza traducesse tutto in forme adatte alla vita di ogni giorno. Faceva, con Ottavio, arte da indossare, senza la pretesa e la pomposità del fare gli artisti. Era cittadina del mondo, pur amando Sumirago: i suoi Missoni-viaggi erano nutriti di viaggi veri, non di scrollate su Pinterest. La differenza è nella sostanza e nel peso specifico sempre altissimi della sua vastissima Missonologia.

Fonte: Il Sole 24 Ore