La vicenda Open Arms, dal braccio di ferro sul porto sicuro allo sbarco dei minori

La vicenda Open Arms, dal braccio di ferro sul porto sicuro allo sbarco dei minori

La vicenda Open Arms comincia il° 1 agosto 2019, con il soccorso di 124 migranti in acque Sar libiche, da parte della ong spagnola. Dopo il salvataggio, l’equipaggio della imbarcazione chiede l’assegnazione di un porto sicuro all’Italia e a Malta: è la prima di una serie di istanze in tal senso ma, come risposta, riceve il divieto di ingresso in acque italiane dall’allora ministro dell’Interno Salvini che si muove in accordo con i colleghi 5 Stelle della Difesa e dei Trasporti. Inizia il braccio di ferro con Open Arms. Due profughi e un loro familiare, nel frattempo, vengono sbarcati per motivi di salute. Sulla nave restano in 121. Il 9 agosto gli avvocati della ong fanno ricorso al tribunale dei minori chiedendo lo sbarco dei migranti non ancora maggiorenni e presentano la prima denuncia. Poche ore dopo soccorrono un altro gruppo di persone su un legno in avaria: stavolta sono in 39.

La scansione dei momenti

Il 12 agosto il tribunale di Palermo ordina lo sbarco dei minori. La nave intanto naviga verso Lampedusa e continua a chiedere a Malta e all’Italia l’assegnazione del porto sicuro. Contro il reiterato no del Viminale la ong ricorre al Tar del Lazio. Il presidente del collegio alla vigilia di Ferragosto sospende il divieto di ingresso. Dopo due giorni, quando il governo gialloverde comincia a scricchiolare, la Open Arms presenta un esposto alla Procura di Agrigento sostenendo che, a dispetto della decisione del giudice amministrativo, Salvini continua a negare l’ingresso nelle acque italiane. Nel frattempo la situazione a bordo è ingestibile: i migranti, in condizioni igienico-sanitarie precarie da ben 18 giorni, sono allo stremo. Alcuni, vedendo le coste italiane tentano di raggiungere Lampedusa a nuoto gettandosi in mare. Dalla Open Arms si torna a chiedere lo sbarco.

Decisa l’imputazione

Il 20 agosto, quando la tensione è ormai altissima, l’allora procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio sale sulla nave per accertare le condizioni fisiche e psichiche dei migranti. È lui a parlare «di situazione esplosiva» e sequestrare l’imbarcazione superando lo stallo. A bordo, degli iniziali 164 soccorsi in acque Sar libiche, dopo i trasferimenti per motivi medici, sono rimasti in 88. La Procura di Agrigento avvia accertamenti. L’esito delle indagini e l’individuazione della responsabilità nel ministro Salvini impongono l’iscrizione nel registro degli indagati del leader leghista per sequestro di persona e rifiuto d’atti d’ufficio in concorso con il suo capo di Gabinetto Matteo Piantedosi. Per competenza le carte vengono trasmesse ai pm di Palermo – il capoluogo è sede del tribunale dei ministri – che poi formula l’imputazione per Salvini mentre archivia per Piantedosi.

Le tappe del processo

Il 1° febbraio del 2020 il collegio manda gli atti al Senato per l’autorizzazione a procedere. Palazzo Madama, a differenza di quel che accadde per il caso gemello della nave della Marina Diciotti, a cui pure fu impedito lo sbarco, stavolta dice sì. Il 17 aprile 2021 il gup Lorenzo Jannelli dispone il rinvio a giudizio. Il 15 settembre 2021 comincia il processo. Un dibattimento, andato avanti per oltre tre anni e 24 udienze, durante le quali hanno testimoniato, tra gli altri, l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, l’ex ministro degli esteri Giuseppe Di Maio e l’attuale ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.

La linea del ministro

«La politica del Governo era di contrasto al traffico degli esseri umani e di coinvolgimento dell’ Europa», dice ai giudici Salvini nel corso di lunghissime dichiarazioni spontanee. Il leader della Lega torna più volte sulla totale concordia da parte della maggioranza sulla gestione dei fenomeni migratori ricordando che Conte, aveva cambiato posizione sulla vicenda solo a metà agosto, in piena crisi di governo. Il 14 settembre la Procura chiede la condanna di Salvini a 6 anni di carcere per «l’intenzionale e consapevole spregio delle regole e diniego consapevole e volontario verso la libertà personale di 147 persone», dicono i pm Gery Ferrara, Giorgia Righi e l’aggiunta Marzia Sabella.

Fonte: Il Sole 24 Ore