L’aggravante della violenza assistita dal minore non vale per lo stalking
L’aggravante della violenza assistita dal minore non vale per lo stalking. La Cassazione, con la sentenza 40301, accoglie, limitatamente a questo punto, il ricorso contro la decisione della Corte d’Appello che aveva determinato un aumento di pena applicando – in un caso di atti persecutori in danno della ex moglie messi in atto alla presenza del figlio di 9 anni – l’aumento di pena previsto dall’articolo 61, primo comma, n.11 quinquies. Una forzatura secondo i legali della difesa. La Cassazione conferma. La Suprema corte, infatti, ricorda che la specifica circostanza aggravante è prevista per i maltrattamenti in famiglia e la violenza sessuale mentre, basandosi su un’interpretazione letterale della legge, bisogna escludere che il legislatore abbia inteso estendere ai minori, che assistono agli atti di stalking, la tutela che gli sarebbe invece assicurata nel caso fossero stati testimoni di altri delitti. E, in particolare, di quelli non colposi contro la vita e l’incolumità e la libertà personale, tra i quali – precisano gli ermellini – non rientra il delitto di atti persecutori, previsto dall’articolo 612-bis del Codice penale, che è un reato contro la libertà morale.
Le perplessità sulla maggior tutela negata
La stessa Suprema corte ha delle “perplessità” sulla distinzione nell’applicazione della protezione. I giudici di chiariscono, che si potrebbe facilmente obiettare che la libertà morale è solo un aspetto della libertà personale sempre più orientata, quest’ultima, verso il concetto di libertà di autodeterminazione e, quindi, anche di libertà morale. Una conclusione suppportata dalla lettura dell’articolo 13 della Costituzione, dedicato alla libertà personale, che vieta ogni violenza fisica e morale sulle persone la cui libertà è ristretta, accomunando così, sotto lo stesso cono d’ombra della protezione accordata all’individuo, i due concetti di libertà. E ancora, valorizzando l’evoluzione della giurisprudenza in tema di violenza assistita nel reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi o di violenza cosiddetta percepita, si potrebbe sempre osservare – proseguoni i giudici – come il reato di stalking possa in concreto determinare “effetti pregiudizievoli anche nei confronti di minori che, pur senza essere vittime dirette di atti persecutori, assistano a episodi di persecuzione”. Considerazioni che tuttavia, allo stato attuale – spiega la Suprema corte – non sono utili a cambiare la giurisprudenza di legittimità che si muove sulla via più restrittiva basata sull’ interpretazione letterale della norma.
Fonte: Il Sole 24 Ore