L’arte di Adel Abdessemed esplora le ferite del nostro presente
L’artista franco-algerino Adel Abdessemed attraverso un’ampia gamma di mezzi di espressione, disegno, video, fotografia, scultura e performance trasforma le immagini delle cronache quotidiane in opere d’arte riuscendo a combinare elementi di violenza e speranza in modo poetico.
Lavorando nel solco della tradizione del realismo espressivo, Adel Abdessemed è stato paragonato ad artisti dell’Ottocento come Francisco Goya e Theodore Géricualt che hanno rappresentato le brutali rivoluzioni sociali del loro tempo con uno stile realistico e fortemente emotivo.
L’artista è un testimone del nostro tempo
Nato in Algeria nel 1971, la sua giovinezza è stata segnata dalla guerra civile e l’“essere testimone di una guerra così brutale è stato in un certo senso l’inizio di tutto”. Per Adel il ruolo dell’artista è quello di combattere senza essere carnefice o vittima. <Potevo scegliere – racconta Adel -: abitare la memoria o il mondo, ho scelto la seconda strada, mettendo in discussione con la mia arte la quotidianità; credo che il mio lavoro sia positivo, il mondo è violento, non io> afferma l’artista. <Se all’inizio ho preferito l’idea della bellezza, nel tempo ho constatato che la bellezza in guerra non ha mai vinto ma scuote l’anima e la può trasformare>. Alla domanda qual è il ruolo dell’artista? Adel Abdessemed non ha dubbi: <Deve essere testimone attivo del nostro tempo, qualunque sia la sua pratica, un genio mortale che ha delle intuizioni così forti che ti fa vedere quello che succede ma non ti dice cosa devi fare> e prosegue affermando che <un’opera d’arte non ha la pretesa di cambiare il mondo, perché non sarà mai in grado di rovesciare un governo, ma potrebbe essere in grado di cambiare una visione>.
Attualmente sta lavorando a una nuova serie di lavori e tra le nuove produzioni un bassorilievo in argilla che immortala, anche in questo caso, un’immagine di distruzione presa a prestito dalle istantanee alle quali siamo purtroppo abituati a vedere da quanto è scoppiata la guerra in Ucraina. Altri lavori sono in fase di produzione e saranno esposti nella prima personale nella sede parigina di Galleria Continua che inaugurerà il prossimo 7 ottobre. Dallo scorso maggio Adel è infatti approdato nella scuderia della galleria toscana dopo aver chiuso il rapporto con il gallerista David Zwiner, con il quale lavorava dal 2008. A causare la rottura la vicenda che vede protagonista una delle sue sculture più famose, «Coup de tête» del 2012, che rappresenta lo scontro tra Zidane e Materazzi ai Mondiali di Calcio del 2006. La scultura è stata danneggiata quando era esposta in Qatar e rimossa senza informare l’artista che lo ha appreso dalla stampa (l’opera è poi entrata a far parte della collezione dell’Emirato). L’episodio e altri spiacevoli fatti hanno mandato in crisi il rapporto con Zwirner, con il quale lavorava dal 2008 e in seguito ne hanno decretato la fine.
La pratica
Le sue opere politicamente impegnate che spesso alimentano polemiche sono pensate e realizzate nel suo studio parigino. “Un luogo dove passo la maggior parte del mio tempo, non esco quasi mai, mi considero un confinato naturale”. Tra quelle più recenti «Die Taubenpost» (2021), una scultura che ritrae due piccioni in acciaio fuso in scala reale (quelle esposte nel 2021 al Marais avevano un’altezza di quasi due metri), ciascuno con strisce di dinamite e un telefono Blackberry sulla schiena. L’opera ribalta l’immagine popolare del piccione viaggiatore trasformandolo in un uccello distruttivo. Per l’artista “la scultura è un’opera d’arte che va al di là di qualsiasi cosa, è un testimone che non muore”. E quindi è ancora una scultura che immortala una fotografia di cronaca: «Cri (Scream)», 2013 che ripropone l’immagine di «Nick Ut» del 197 della bambina di nove anni Kim Phuc che brucia con il Napalm mentre corre nuda lungo la strada, oppure la foto di un ragazzo che esce dal ghetto di Varsavia con le mani in alto, «Mon Enfant (My Child, 2014)».
Altri soggetti richiedono non solo altri materiali ma anche linguaggi visivi come la video-installazione per l’opera «Don’t trust me», 2008, nella quale sei video mostrano l’uccisione di diversi animali in un mattatoio messicano, pratica ricorrente in Messico, luogo dove è stato realizzato il lavoro. In Italia nel lontano 2009 l’opera ha suscitato il ribrezzo di alcune associazioni per la protezione animale che avevano impedito l’inaugurazione della mostra «Le ali di dio» curata da Francesco Bonami, della quale l’opera faceva parte, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino. Un elemento ricorrente nella sua pratica artistica è il fuoco come nell’autoritratto «Je suis innocent», 2012 nel quale l’artista si è dato fuoco da solo nel mezzo di una strada come fece il venditore di frutta Mohamed Bouazizi che durante la rivolta in Tunisia nel 2010 si è dato fuoco per protestare contro le sistematiche vessazioni della polizia locale, mentre nella video-installazione «Printemps (Primavera)», ha messo in fiamme digitalmente dei polli.
Fonte: Il Sole 24 Ore