Lavoro, tra denatalità e mismatch: ecco dove le aziende assumono (e spesso non trovano)
C’è la crisi demografica che morde, uno sviluppo tecnologico sempre più rapido, e una profonda trasformazione dei modelli produttivi. Nei cambiamenti epocali che sta attraversando anche il mercato del lavoro, si amplia un fenomeno che continua da anni: le imprese non riescono a trovare i talenti necessari. Il nuovo sasso nello stagno lo ha lanciato il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, intervenendo sabato 25 gennaio a un evento organizzato a Milano da Forza Italia dedicato all’industria.
L’allarme di Orsini
«Il problema della natalità – ha spiegato Orsini – non sarà solo un problema italiano: il tema è che oggi 700mila persone vanno in pensione e abbiamo 400mila neonati. Già oggi abbiamo bisogno di 100mila persone di forza lavoro in più quindi questo è un tema che per noi sarà fondamentale».
Oltre due aziende su tre a caccia di lavoratori
Secondo la stessa Confindustria, in un focus sulle difficoltà assunzionali, il problema «non è più trascurabile». Oltre due terzi delle aziende italiane con ricerche di personale in corso, il 69,8% per l’esattezza, incontra ormai significative difficoltà di reperimento delle competenze necessarie. I dati Excelsior di Unioncamere e ministero del Lavoro documentano che le difficoltà dichiarate dalle imprese si sono intensificate: riguardavano il 26% delle assunzioni previste nel 2019, prima della pandemia, mentre hanno superato il 45% nel 2023 (a gennaio, il dato mensile, parla di un balzo, al 49,4%). Il mismatch ha un peso economico: nel 2023 ha fatto perdere alle imprese circa 44 miliardi di mancato valore aggiunto, una cifra pari a quasi 2,5 punti di Pil (fonte Excelsior).
Dove c’è lavoro (e dove manca)
Sempre secondo Excelsior, gli ultimi dati mensili, sono oltre 497mila i lavoratori ricercati dalle imprese a gennaio e circa 1,4 milioni per il primo trimestre dell’anno. A guidare la domanda di lavoro sono le imprese turistiche che programmano nel mese +16mila assunzioni rispetto a gennaio 2024 (pari a circa 67mila entrate), seguite dal commercio con +2mila unità (con oltre 77mila entrate). In flessione, invece, le previsioni dell’industria manifatturiera e dei servizi alle imprese (entrambi -12mila unità). Dal Borsino delle professioni sono difficili da reperire sul mercato – nel gruppo delle professioni intellettuali e scientifiche – gli analisti e specialisti nella progettazione di applicazioni (62,1%) e gli ingegneri (58,5%), mentre tra le professioni tecniche si segnalano i tecnici della gestione dei processi produttivi di beni e servizi (67%) e i tecnici della salute (66,3%). Nel gruppo delle professioni qualificate nelle attività commerciali e nei servizi risultano di più difficile reperimento gli operatori della cura estetica (59,8%) e le professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali (55,9%). Gli operai specializzati nell’installazione e manutenzione di attrezzature elettriche/elettroniche (75,5%) e i fonditori, saldatori, lattonieri, calderai, montatori di carpenteria metallica (74,5%) sono le professioni con la più elevata difficoltà di reperimento tra gli operai specializzati, mentre per i conduttori si contraddistinguono gli operai addetti a macchinari dell’industria tessile e delle confezioni (67,9%) e gli operai addetti alle macchine automatiche e semiautomatiche per lavorazioni metalliche (65,6%).
Le competenze che mancano
Le difficoltà nelle selezioni riguardano soprattutto le competenze tecniche (complessivamente segnalate dal 69,2% delle imprese) e le mansioni manuali (nel 47,9% dei casi a livello nazionale e nel 58,9% nel settore industriale). In due terzi dei casi le difficoltà vengono riscontrate nella ricerca di competenze funzionali alla transizione digitale, in quasi un terzo dei casi se funzionali a una maggiore internazionalizzazione dell’impresa, nel 15% circa dei casi in funzione della transizione green.
Fonte: Il Sole 24 Ore