le 10 destinazioni preferite dalle multinazionali”

Cinque dei primi dieci paradisi fiscali più utilizzati dalle multinazionali per pagare meno imposte sono in Europa. Svizzera, Olanda, Jersey, Irlanda e Lussemburgo sono nella top ten mondiale delle giurisdizioni che favoriscono gli abusi fiscali delle grandi corporation. Rispetto al 2021 la situazione dell’Europa è peggiorata con l’ingresso dell’Irlanda tra i primi dieci paradisi fiscali globali.

In testa alla classifica mondiale ci sono ancora una volta tre territori d’oltremare del Regno Unito: Isole vergini britanniche al primo posto, Isole Cayman al secondo e Bermuda al terzo. Seguono la Svizzera (in quarta posizione), Singapore (quinto), Hong Kong (sesto), Olanda (in settima posizione), Jersey in ottava, Irlanda al nono posto (new entry tra le top ten) e Lussemburgo al decimo. L’Italia compare alla 29ma posizione della classifica – che comprende in tutto 70 paesi -, preceduta da Panama e seguita da Curaçao.

Ci sono molte conferme e qualche novità nel nuovo Corporate tax haven index compilato dall’organizzazione non governativa Tax justice network, che da anni scandaglia i paradisi fiscali di tutto il mondo e ne monitora gli effetti sull’economia. Secondo gli esperti dell’organizzazione, due terzi degli abusi fiscali che vengono realizzati ogni anno nel mondo sono commessi da multinazionali che trasferiscono i loro profitti all’estero. Il rimanente terzo delle violazioni è causato da individui che nascondono le loro finanze offshore.

I primi tre nella lista

Un dato che colpisce nello studio di Tax justice network è che nei primi dieci paesi della classifica transita il 44,6% degli investimenti esteri diretti effettuati dalle multinazionali nei 70 Stati monitorati. Una percentuale altissima. Quasi metà degli investimenti delle grandi passa dai primi dieci paradisi fiscali della terra.

I ricercatori di Tax justice network stimano che quasi la metà degli investimenti esteri diretti effettuati ogni anno siano “investimenti fantasma”. Si tratta di fondi che non entrano concretamente nell’economia degli Stati. Una tattica per spostare i finanziamenti e pagare meno tasse.

Fonte: Il Sole 24 Ore