L’edilizia inizia la discesa: -5,3%. Ance: «Segnali di incertezza»
Inizia, anche se ancora in sordina, l’onda lunga della flessione per le costruzioni, trainate negli ultimi anni prima dal Superbonus e poi dal Pnrr. L’esultanza dei numeri è affare del passato e scrive la parola fine sul ciclo di espansione inaugurato quattro anni fa dopo la pandemia. Per il comparto si apre una stagione di incertezza e si inizia a fare i conti con l’addio al Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ma il punto di equilibro, con la chiusura della stagione dell’edilizia residenziale privata, porta il segno meno.
La congiuntura Ance
Lo dicono i dati dell’Osservatorio congiunturale sull’industria delle costruzioni presentato ieri da Ance. Per le 537.886 imprese in larga parte ancora polverizzate in micro realtà che per il 62% contano 1 addetto il 2024 si è chiuso con -5,3% degli investimenti, recuperando due punti rispetto alle stime dell’ultima congiunturale. La caduta è stata attutita dal paracadute dei lavori pubblici che grazie alle irreplicabili performance del Pnrr segnano un brillante +21 per cento. Il controaltare è la riqualificazione abitativa che nell’anno appena trascorso crolla a -22 per cento. Ma è un crollo da vette altissime: quel comparto nel 2024 ha drenato più di 91 miliardi di euro contro i 78,4 miliardi messi in pista dalle opere pubbliche. Gli occhi però sono puntati sui prossimi anni. Quando già le stime parlano di un’ulteriore flessione nel 2025 calcolata in – 7% (+16% per le opere pubbliche, -30% la riqualificazione abitativa). « Quello che ci preoccupa, nonostante siamo ancora in una fase positiva, è il futuro: oggi il Paese ha dimostrato che è in grado, grazie a imprese e amministrazioni, di trainare l’economia – ha detto la presidente Federica Brancaccio -.Cerchiamo di farlo senza aspettare sempre interventi straordinari». Reclama una strategia di lungo periodo la numero uno dei costruttori che da tempo lancia segnali di allarme sul post-Pnrr e prova ad accendere fari su almeno tre fronti: «C’è tanto da fare per questo Paese – dice- c’è l’emergenza della casa, c’è da intervenire sul nostro fragile territorio». E c’è soprattutto «l’ammodernamento del patrimonio immobiliare» con la direttiva sulle case green. La preoccupazione dei costruttori guarda al 2028, dopo l’effetto trascinamento del Pnrr, quando si aprirà «un periodo di grande incertezza» che rischia di inghiottire gli anni d’oro del settore. «Se non verranno adottate misure adeguate – spiega Brancaccio – il mercato rischia di tornare ai livelli del 2011, nel pieno della crisi delle costruzioni».
La partita del Pnrr
Ed è proprio sul Pnrr che si sta giocando la partita più importante. Secondo l’Osservatorio Ance a ottobre scorso sono stati spesi quasi 59 miliardi di euro, il 30% dei fondi europei di cui il 54% – pari a 32 miliardi – in costruzioni. Questa cifra corrisponde al 67% del totale della spesa programmata entro il 2024 (ovvero 88 miliardi). Sul piatto l’anno appena concluso lascia 30 miliardi ancora da spendere. Che sommati a quelli da realizzare entro il 2026 danno un tesoretto di 54 miliardi ancora da spendere. Ma i segnali qui sono positivi perché «l’approccio del Pnrr basato sul raggiungimento degli obiettivi, con milestone e target» e «ha contribuito a migliorare i processi decisionali e operativi», ha detto il vicepresidente Ance Pietro Petrucco e numero uno della Fiec. Sul fronte delle gare, secondo l’analisi «conservativa» presentata dall’economista di Banca d’Italia Sauro Mocetti «oltre i due terzi delle risorse da mettere a gara sono state bandite: circa 62 miliardi (di cui 45 per lavori pubblici) su circa 92. E ancora: il 70% dei bandi Pnrr è stato aggiudicato e tra quelli aggiudicati nel 55% dei casi sono stati avviati i lavori (terminati per il 22% dei bandi, avviati e in linea con il programma per l’11%, in ritardo per il 22%). Buone notizie per la progressione dei lavori: secondo Bankitalia alla fine dell’anno il Sal medio è passato dal 37% all’85% e ogni mese avanza di 4 punti.
Ma nel frattempo cresce l’attenzione sulla rimodulazione che il Governo dovrebbe presentare nelle prossime settimane, con l’obiettivo di chiudere entro la primavera un nuovo accordo con la Commissione Ue. In gioco ci sarebbero 10-12 miliardi (Sole 24 Ore del 9 dicembre) rappresentati soprattutto da alcune opere ferroviarie, dal Terzo Valico dei Giovi travagliato dalle difficoltà geologiche a un lotto della Tav Salerno Reggio Calabria, e circa il 30% dei Piani per la qualità dell’abitare, in ritardo forte sulla tabella di marcia. Per questi ultimi, fra le soluzioni allo studio del governo c’è il meccanismo dei fondi finanziari che permetterebbero di girare le risorse dei Piani definanziati (7-800 milioni) ad altri obiettivi, dal Piano casa al Piano idrico nazionale, con un calendario dell’attuazione più disteso, oltre la scadenza del giugno 2026. Lo strumento è contemplato dal regolamento del Next Generation Eu, ed è già utilizzato per gli 1,3 miliardi destinati all’efficienza energetica degli alloggi pubblici. E potrebbe tornare utile nella nuova rimodulazione, per i Pinqua e per qualche altro filone in affanno, senza però raggiungere dimensioni troppo ampie che si tradurrebbero di fatto in un dribbling delle scadenze ordinarie.
La politica per la casa
«È ora di uscire dai ragionamenti confinati nel nostro settore e iniziare a pensare a un piano caso di edilizia residenziale che faccia i conti con una domanda del 99% della popolazione», incalza Brancaccio. Per i costruttori che hanno lanciato l’allarme sull’emergenza abitativa e l’inaccessibilità degli immobili per 10 milioni di famiglie, questo è il cavallo di battaglia numero uno. I numeri dell’emergenza parlano da soli.
Fonte: Il Sole 24 Ore