Legumi, la crescita dei consumi fa correre i prezzi

Legumi, la crescita dei consumi fa correre i prezzi

La sempre maggiore diffusione di diete a base di proteine vegetali e una “componente immigrazione” mettono le ali ai prezzi dei legumi. È quanto emerge da una elaborazione effettuata da Bmti (Borsa merci telematica italiana) su dati rilevati dalla rete dei mercati all’ingrosso di Italmercati secondo cui in Italia le quotazioni delle principali varietà di legumi negli ultimi venti anni sono raddoppiate.

L’arco temporale non deve trarre in inganno e il raddoppio dei valori è comunque un trend degno di nota perché i legumi maggiormente consumati in Italia ovvero lenticchie, fave, ceci e fagioli Borlotti non hanno storicamente mostrato grandi oscillazioni di prezzo neanche in spazi temporali più ampi. Tra le cause, a Borsa merci telematica italiana indicano due fattori su tutti: da un lato l’aumento del consumo negli ultimi anni di questi prodotti, a favore di regimi alimentari che prediligono proteine vegetali; dall’altro, un aumento del consumo complessivo legato allo stabilizzarsi in Italia di componenti di popolazione immigrata (in particolare di origine africana o asiatica) che hanno mantenuto anche in Italia le loro tradizioni alimentari e diete nelle quali c’è una forte componente legata al consumo di diverse varietà di legumi.
«E per far fronte a questa crescita della domanda interna – spiegano a Bmti – anche la produzione nazionale di legumi negli ultimi venti anni è fortemente aumentata».

Sebbene, quelle dei legumi, siano quotazioni piuttosto regolari e non soggette a bruschi cambiamenti, per alcuni di loro negli ultimi 20 anni, i prezzi sono più che raddoppiati. In particolare, fanno notare dalla Borsa merci telematica italiana, i prezzi delle lenticchie che nel 2005 erano intorno ai 0,80 euro/Kg, nel 2022 hanno raggiunto quasi i 2,00 euro/Kg. Raddoppiati anche i prezzi dei fagioli Borlotti che da 1,10 euro/Kg nel 2005 a quasi 2,00 euro/Kg nel 2022. Per i ceci, va sottolineato che nel 2018 fu registrato un picco di quotazioni legato a una forte siccità che quell’anno aveva colpito il messo e altri paesi del Nord America, aree che sono tra i principali distretti produttivi mondiali. Quel buco di offerta fu alla base di una escalation dei prezzi che avevano toccato 2,70 euro al chilo e che adesso sono rientrati attorno a quota 2 euro/kg.

Fonte: Il Sole 24 Ore