L’Europa è diventata la meta di chi fugge dalle discriminazioni
Il fenomeno migratorio della comunità Lgbtq+ verso Europa è in aumento e risponde ad un’esigenza di spazio sociale, politico e civile in contrasto ad una pericolosa criminalizzazione in atto nel resto del mondo. Un trend giustificato da una parte dall’inasprirsi della situazione in alcuni Paesi vicini all’Europa dall’altra dall’impegno positivo dell’Ue sulle tematiche di inclusione Lgbtq+. A partire dall’adozione della “Lgbtqi Equality Strategy 2020-2025” da parte dell’Ue. Il mid-term report del 2023 ha riassunto le azioni intraprese e ancora in atto negli Stati membri, identificando le best practice contro discriminazioni, violenza ed esclusione. La strategia si è concentrata su aree prioritarie tra cui: la tutela dei diritti dei migranti Lgbtq+ richiedenti protezione internazionale, la tutela giuridica per i crimini d’odio e discriminazione, e l’inclusività in contesti sociali e lavorativi. La Commissione Europea, inoltre, ha proposto nel 2020 il Nuovo Patto su migrazione e asilo, approvato quest’anno, includendo i richiedenti Lgbtq+. Rimane però esclusiva responsabilità degli Stati membri valutare i criteri di accoglienza sulla base dei dati forniti dall’Agenzia Ue, supportata dall’Agenzia Ue per l’asilo, che dal 2022 lavora alla guida pratica per i colloqui considerando i parametri di orientamento sessuale, identità di genere, espressione di genere e caratteristiche sessuali. Fra gli esempi nel report Ue viene citata l’Irlanda, che ha sviluppato una politica di accoglienza includendo standard nazionali di alloggi per persone sotto protezione in sinergia con l’Unhcr, e garantendo una formazione sui temi Lgbtq+ al personale d’ufficio.
Crimini d’odio e transfobia richiedono invece una tutela giuridica maggiore. L’Agenzia dell’Ue per i diritti fondamentali (Fra) denunciava nel 2019 l’orientamento sessuale come terza categoria di discorsi d’odio più segnalata (15,5%). Sui diritti di protesta, Amnesty riporta un’incidenza di hate speech online rivolto alla comunità Lgbtq+ (Barometro dell’odio 2024), subito dopo i commenti d’odio verso le donne. Il Portogallo, in questo caso, ha istituito una formazione dedicata alle autorità, spazi di accoglienza e un servizio di emergenza.
La discriminazione passa anche per le pratiche volte a ripristinare l’orientamento sessuale su base binaria ed eteronormativa: la relazione “Conversion Practices on Lgbt+ People” (2023) richiesta dalla commissione Libe promuove il divieto delle pratiche di conversione, considerate un crimine ed eliminate recentemente in Belgio, Islanda, Portogallo, Cipro e Grecia. L’inclusione, invece, coinvolge anche i posti di lavoro: in Italia, l’Unar e Istat collaborano dal 2020 indagando le discriminazioni sul lavoro verso le persone Lgbtq+ analizzando accesso, condizioni e gestione della diversità nelle aziende. Oltre ai dati, in Croazia e Slovenia il progetto Work Equality Alliance finanziato dall’Ue mira a sensibilizzare e migliorare le competenze dei datori di lavori e dei sindacati attraverso un programma di formazione mirato.
Fonte: Il Sole 24 Ore