L’immagine dell’orgoglio della libertà – Il Sole 24 ORE

Il volume celebra insieme tutti gli anni e tutte le battaglie e attraverso tempo e spazio accompagna in un viaggio dal passato al futuro; un percorso fotografico che ferma un istante di ogni Pride dal 1969 ad oggi portandoci a immaginare i prossimi, a interrogarci sui prossimi passi verso l’uguaglianza di diritti tra gli esseri umani in tutto io mondo.

Parigi 2002, Motevideo 2011, Uganda 2014, momenti cruciali per la comunità LGBTQIA+ e per le stesse nazioni, momenti che in alcuni casi forse non si ripeteranno mai, in paesi in cui i diritti sono proprietà del potere, e il potere, si sa, cambia.

Le testimonianze di Emiliano Reali (autore attivitsta e giornalista), Shrouk El-Attar (attivista per i diritti dei rifugiati LGBTQIA+, nel Regno Unito, nel 2028 è stata inserita dalla BBC tra le 100 donne più influenti del mondo), Silvia Ranfagni (autrice del podcat Corpi Liberi, docente e assistente alla regia per registi come Bertolucci e Tornatore), Sue Sanders (professorezza emerita dell’Harvey Milk Institute, ha ricevuto molti premi e ricevuto importantissime onorificenze per il suo impegno) ci dicono che la lotta è di tutti e per tutti, lotta di genere, lotta di origine, per la libertà di pensiero, lotta per la libertà dell’amore, per il diritto di essere cittadino libero. La lotta per la libertà.

Forte l’intenzione sottesa a questo libro fotografico che Asia Graziano, curatrice del volume, descrive “come convinzione che l’emarginazione, la discriminazine sociale ed economica, il giudizio e la violenza verbale e fisica che con minore o maggiore intensità, a seconda delle diverse latitudini o dei momenti storici la comunità si trova a subire, possano esser sconfitti solo grazie all’informazione, alla cultura e alla conquista di spazi di ascolto e diritti”.

Non possiamo non ricordare alcuni dati, fotografia della situazione attuale: nel gennaio 2024 sono ancora sessantatrè gli stati che criminalizzano gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso, otto di questi prevedono la pena di morte e nove la reclusione a vita. L’Italia sta facendo passi indietro e secondo uno studio di Ranibow Europe pubblicata su ILGA (piattaforma per la Commissione per gli Affari sociali del Parlamento Europeo) occupa un deludente 36simo posto su 49paesi valutati.

Fonte: Il Sole 24 Ore