L’immobiliare retail resiste ma è alla ricerca di capitali

L’immobiliare retail resiste ma è alla ricerca di capitali

Cede ma non crolla. Si piega ma non si spezza, l’immobiliare retail (centri e parchi commerciali, outlet, High Street del lusso). E prova a conquistare nuovi spazi di opportunità tra gli investitori in cerca di nuove asset allocation, in un quadro economico che fatica a finanziare nuovi sviluppi e in cui le certezze degli investimenti immobiliari che sembravano fatte per durare (si veda la voce “uffici”) mostrano crepe. Dopo il Covid il settore sta puntando sul rilancio: investimenti Esg per abbattere costi ed emissioni, ripensare l’offerta (meno shopping e più servizi). Come “mettere a terra” tutto ciò è al centro delle discussione degli operatori al Mapic, la fiera del real estate retail che si è aperta ieri a Cannes e si chiuderà domani.

Secondo i dati di Bnp Paribas, i volumi di investimento nel retail in Europa nel terzo trimestre di quest’anno si sono attestati a 28,9 milioni di euro, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso: -44 per cento. Una flessione consistente, ma comunque ”minore” rispetto al -58% degli uffici e al -60% circa della logistica. Non solo. Quello che mostrano i dati è che l’asset class – in crisi di identità già da ben prima dell’impatto della pandemia – è che, flessione a parte, guadagna quote di mercato anziché perderne. Sempre nel terzo trimestre 2023 (rispetto allo stesso periodo 2022), la sua market share in termini relativi è passata dal 15 al 19%, mentre gli uffici sono scivolati dal 37 al 31% e la logistica dal 24 al 20 per cento. Anche se in termini assoluti i volumi restano minori rispetto alle asset class tradizionalmente più forti, in Francia e Germania è tornata ad essere la seconda asset class più “popolare” dal 2018.

«È in corso, in tutta Europa, un ribilanciamento delle asset allocation – ha spiegato Filomena Conceição, global head of business development di Nhood – che apre prospettive di crescita sul retail anche da parte di investitori che sinora non avevano mai (o solo marginalmente) preso in considerazione un’asset class da sempre appannaggio di operatori molto specializzati e da sempre percepita come “più rischiosa” rispetto ad altre, capaci di offrire margini superiori e meno imprevedibilità».

«Oggi per tutte le asset class il tema è quello del credito – ha detto Sandra Ludwig, head of retail markets Emea di Jll – che nel retail si traduce sia in un aumento del capitale speculativo, value add, sinora poco presenti sul segmento, sia in deal di minore valore, sotto i 500 milioni di euro».
Il 60% degli investimenti si realizza in Francia, Germania e Regno Unito, grazie soprattutto a un più rapido aggiustamento dei prezzi intercettato da investitori più opportunisti.

«In Italia – ha aggiunto Roberto Limetti, managing director di Pradera (che in Italia conta circa 20 tra centri e parchi commerciali) – da un lato permane una rigidità del venditore sul prezzo, che non va incontro le istanze degli acquirenti. Rispetto al repricing già in atto in altri Paesi è difficile essere competitivi. Dall’altro, tradizionalmente, sul retail italiano mancano gli investitori istituzionali (banche, assicurazioni, fondi di previdenza) perché l’asset class è percepita come più rischiosa. In Spagna, il 50% degli investimenti in retail sono di soggetti nazionali. In Francia e Germania superiamo l’80 per cento».

Fonte: Il Sole 24 Ore