L’intelligenza artificiale in sanità impone una reinvenzione del mestiere del medico

L’intelligenza artificiale in sanità impone una reinvenzione del mestiere del medico

Intelligenza artificiale (Ai) in sanità. Stiamo andando nella giusta direzione? Per Alessandro Vespignani, docente di Fisica e Scienze della Salute alla Northeastern University, fondatore del Northeastern Network Science Institute di Boston e presidente della Fondazione Isi – il centro di eccellenza internazionale nel campo dei Sistemi complessi e dei dati – è sì necessario un bilancio dei pro e dei contro dell’Ai applicata alla sanità, ma con un approccio realistico, lontano dalla narrazione complottista o messianica che si è fatta fino adesso.

«Si sta sviluppando intorno all’Ai una specie di pensiero magico, per cui le macchine o ci salveranno da qualunque cosa o, all’estremo opposto, ci porteranno alla fine del mondo. Entrambi sono messaggi che ci allontanano dalla realtà. C’è una tecnologia che – ben lontana dall’acquisire il pensiero umano – contempla grandi benefici e grandi rischi che vanno però analizzati caso per caso. Il tema della trasparenza, per esempio, diventa fondamentale non per capire se siamo vicini alla macchina pensante, ma se quell’algoritmo è realmente preciso, se la percentuale di predizione è corretta, se funziona per tutte le popolazioni. Queste sono le domande che dobbiamo porci. Perchè l’Ai è uno strumento a supporto del medico che la sa usare, in quanto non fa delle previsioni deterministiche, cioè non dice “tu hai questa malattia”, ma si esprime in percentuali. E come tutti gli strumenti va regolamentato, caso per caso. In altre parole, le regole che valgono per il trasporto aereo non sono uguali a quelle del trasporto su ruota, lo stesso vale per l’Ai applicata in campo medico».

E qui si apre il tema cruciale della formazione

«Sì, ma anche in questo caso, rispetto alla narrazione corrente, il tema non è che l’Ai sostituirà il medico, ma impone una reinvenzione del mestiere del medico. E allora la domanda è: quanti medici sanno interagire con l’ai e offrono questo servizio? In questo caso, il vero rischio è che si creino bolle di eccellenza che diventano poi bolle di privilegio, piuttosto che un servizio accessibile a tutti. Stiamo andando in quella direzione? Il punto è che il settore salute ha già vissuto tante rivoluzioni e non è la prima volta che si è dovuto reinventare, ma tutto questo avveniva in tempi molto più lunghi. Adesso con l’Ai non parliamo più di decenni, ma di 1-3 anni, siamo in una fase di accelerazione esponenziale che è vissuta in una scala temporale che non ha precedenti. Quindi l’urgenza di rivedere la formazione è ora, tra 5 anni sarà tardi, e non possiamo creare un’altra generazione di medici incapaci di usare questi strumenti. E non si tratta solo della formazione del singolo individuo, ma dell’intero sistema. Come ci ha insegnato la pandemia: l’accesso al dato è dirimente quando parliamo di salute, senza piattaforme di accesso ai dati, con tutti i perimetri del caso, vuol dire perdere vite e non sfruttare i grandi benefici offerti da questa tecnologia».

E come cambia la salute pubblica?

Fonte: Il Sole 24 Ore