L’inverno demografico ridurrà i bacini di candidati e farà salire gli stipendi
Se a lungo ha prevalso una svalorizzazione del lavoro con retribuzioni ferme, nel futuro nuovi equilibri potrebbero generare condizioni che rivalorizzano i salari. A dirlo è il secondo report dell’Osservatorio Enpaia (Ente nazionale di previdenza per gli addetti e gli impiegati in agricoltura), realizzato in collaborazione con il Censis. I nuovi equilibri in questione saranno determinati dal calo demografico che ridurrà progressivamente i bacini dei candidati e dal diverso valore che le persone attribuiscono al tempo. Il surplus di domanda di lavoro rispetto all’offerta, in prospettiva, potrebbe generare un rialzo delle retribuzioni e con esse dei contributi, con effetti positivi anche sulla previdenza. «In Italia abbiamo un tema importante che è quello dei salari troppo bassi», evidenzia Roberto Diacetti, direttore generale di Enpaia, parlando di «fase del mercato del lavoro molto complicata, in cui, tra l’altro, non sarebbe un’idea draconiana rinunciare a una minima quota di dividendi da parte delle imprese per aumentare le retribuzioni. Questo ci metterebbe più in linea con gli altri Paesi europei. E aumentando i salari avremmo anche pensioni più adeguate».
Nuovi equilibri demografici
Negli ultimi vent’anni in Italia le nascite sono precipitate, fino a scendere sotto le 380mila nel 2023, si legge nel report. La nuova struttura demografica impatta sulla creazione e redistribuzione della ricchezza ma anche sulla forza lavoro disponibile per le imprese che nel 2050 si ridurrà di 2 milioni e 200mila unità. Oltre alla riduzione dei bacini di candidati, però, le imprese dovranno fare i conti con il diverso valore che le persone attribuiscono al lavoro e al tempo. La rarefazione dell’offerta di lavoro farà aumentare non solo il suo valore economico in funzione dell’aumento della domanda, con un conseguente aumento delle retribuzioni, ma spingerà le imprese verso nuove strategie per attrarre i candidati. Soprattutto i giovani, così attenti ai loro interessi extralavorativi. Per Diacetti, «sociologicamente abbiamo cambiato mentalità con la pandemia. Ciascuno di noi vive la dimensione del lavoro come importante ma collocata in un bilanciamento con la vita personale. Durante la pandemia abbiamo sperimentato lo smart working che ci porta nella direzione di un migliore bilanciamento tra questi diversi momenti di vita. Si tratta di trovare un punto di mediazione tra questi elementi in grado di garantire buone performance ed efficienza nell’organizzazione del lavoro». La cornice del quadro però non è così netta. «Siamo in una fase di passaggio che verrà definita ambito per ambito e azienda per azienda e dove non valgono le generalizzazioni – continua Diacetti -. Bisogna fare i conti con il Pil, la produzione, l’efficienza e coniugare tutti questi elementi con il bilanciamento degli spazi vita-lavoro. In un’organizzazione del lavoro vocata alla modernità, se lo smart working riesce a garantire tali risultati, può diventare una modalità strutturale».
I pensionati che vogliono lavorare
Guardando a chi ha già vissuto il primo tempo della vita, fino alla pensione, il report fa emergere un contesto sociale dove ci sono opinioni diverse sul pensionamento, dovute in parte a ragioni economiche, in parte alla soddisfazione professionale. Una quota molto elevata, il 70%, degli italiani afferma che si debba consentire ai pensionati, se lo vogliono, di continuare a lavorare. Questa quota raggiunge addirittura l’80% tra gli over 64. Dall’altro lato, però, l’innalzamento dell’età di pensionamento viene vissuta nel 65,1% dei casi come «una costrizione alla libertà individuale» (a dirlo è il 69,6% nella fascia dai 35 ai 64 anni). Di qui la richiesta di poter scegliere con maggiore flessibilità, di essere attivi nei diversi ambiti della sfera sociale, mercato del lavoro incluso, senza che l’età sia un fattore discriminante. Ma anche, d’altro canto, di potersi ritirare prima.
La libertà di scelta
Nelle risposte si percepisce la coesistenza tra condizione da pensionato e possibilità di lavorare, ma più ancora l’importanza di poter passare da una condizione all’altra, da occupato a pensionato e viceversa. E sono gli attuali pensionati a indicare questa esigenza poiché l’87,8% dichiara che, se un pensionato vuole lavorare va messo nelle condizioni di farlo. Questa è un’opinione condivisa anche dal 78,1% degli occupati e dal 75,1% degli studenti: la fase di pensionamento non è più sentita come un ambito di vita sganciato in via definitiva dalla possibilità di lavorare. Non ultimo, tutto questo emerge perché il 68,7% dei pensionati contribuisce ai budget delle famiglie di figli e nipoti (il 21,8% in modo continuo e il 47,8% di tanto in tanto). Nel 2024, l’indice di vecchiaia ci ha consegnato l’istantanea di un Paese dove gli ultrasessantacinquenni sono il doppio dei giovani in età compresa tra 0 e 14 anni. «L’allungamento della vita lavorativa, però, – interpreta Diacetti – impedisce alle nuove generazioni di emergere. In molti settori c’è un forte fabbisogno di lavoratori e non c’è una risposta occupazionale adeguata, soprattutto in termini di competenze. Il ricambio generazionale potrebbe dare risposte in questo senso. Oggi, inoltre, emerge prepotentemente il tema dell’intelligenza artificiale che imporrà a tutti di ripensarci: non ci sarà una vera e propria sostituzione di persone, ma serviranno competenze diverse al lavoro e tutti saremo sollecitati ad adeguarci per stare al passo con i tempi».
La sostenibilità della previdenza
Ritornando ai temi previdenziali, dal report Enpaia Censis emerge che oltre l’80% degli italiani teme che la sostenibilità della previdenza potrebbe affrontare qualche difficoltà, visto il gap tra giovani e anziani. Attualmente il 46,8% dei pensionati ritiene la propria pensione inadeguata alle esigenze di vita. Tenuto conto delle prospettive future, le persone cercano forme integrative dei redditi pensionistici, per far fronte al rischio di un downgrading della qualità di vita. Così, in Italia, il sistema di previdenza complementare continua crescere in termini di iscritti e di contributi, mostrando una sostanziale solidità. Nel 2023 sono 9.571.353 gli iscritti alla previdenza complementare, il 3,7% in più rispetto all’anno precedente, per un totale di quasi 11 milioni (10.690.199) di posizioni in essere che, tra il 2013 e il 2023, sono cresciute del 72,3%. Di conseguenza si incrementa anche il montante delle risorse destinate alle prestazioni (+3,5%), che in valore assoluto supera i 224 milioni di euro (224.392.000), pari a un importo medio per posizioni in essere di 20.990 euro. Se prendiamo il caso Enpaia, l’ente gestisce un patrimonio complessivo di 2,5 miliardi di euro. Negli ultimi cinque anni ha aumentato il numero di iscritti tra impiegati e dirigenti del 7%, arrivando oggi a 45mila. Le imprese iscritte sono invece oltre 9mila e nello stesso periodo sono cresciute del 6%.
Fonte: Il Sole 24 Ore