Lisetta Carmi, fotografie di un’autodidatta ai margini
Lisetta Carmi è stata una donna e un’artista straordinariamente eclettica. Aveva iniziato con successo una carriera di pianista, che ha poi abbandonato nel 1960 per dedicarsi solo alla fotografia. Dopo meno di vent’anni passati a fotografare aspetti dell’Italia che pochi conoscevano e nessuno raccontava, la Carmi ha passato gli ultimi decenni della sua vita dedicandosi alla meditazione yoga.
Genova
La Estorick Collection di Londra dedica ora alla Carmi, scomparsa lo scorso anno, la prima mostra delle sue foto in un museo britannico. Autodidatta, si era dedicata alla fotografia spinta da un profondo spirito umanitario, per dare un volto ad alcune delle persone più invisibili e marginalizzate della società di allora, nella sua città natale di Genova.
La mostra è divisa in due parti, che riflettono i due grandi filoni dell’opera della Carmi: le foto di portuali e operai, che mostrano le durissime e pericolose condizioni di lavoro di allora, e le foto della comunità di travestiti di Genova, che rivelano una profonda empatia per la loro vita difficile. Immagini che negli anni Sessanta erano assolutamente pioneristiche e che ancora oggi hanno una grande forza coinvolgente..
L’Italsider e il porto
Per realizzare i suoi reportage la Carmi era riuscita a intrufolarsi in fabbriche come l’Italsider e al porto di Genova, zona vietata alle donne, spacciandosi per la parente di un lavoratore. Le sue foto sono una denuncia dei pericoli del lavoro nelle acciaierie e al porto. In un’immagine memorabile, un lavoratore in piedi, a torso nudo, con la vanga in mano, sembra una statua di marmo: è completamente coperto e circondato da una polvere bianca, il fosfato che gli occlude ogni poro e che già si è annidato nei suoi polmoni.
In Sardegna
La Carmi era andata anche in Sardegna per documentare dall’interno la prima fabbrica di sughero che dava lavoro alle donne. Nel 1965 la Carmi abitava vicino al vecchio ghetto ebraico di Genova e iniziò a frequentare la comunità di travestiti che viveva lì e a documentare la loro vita, conquistandosi la loro fiducia e la loro amicizia, che è durata nel tempo. Le foto ritraggono persone che la società di allora non voleva vedere, senza alcun sensazionalismo e senza alcun giudizio ma con grande empatia e naturalezza. Sono ritratti profondamente umani di persone vere che la fotografa tratta con rispetto, dando loro quello che la società invece negava: il rispetto.
Fonte: Il Sole 24 Ore